Sanremo è nota per essere la “città dei fiori” e i fiori – è risaputo – nascono anche nei terreni più accidentati e nelle asperità. In modo quasi provvidenziale, nel mezzo della più animosa, contestata ed ‘ideologica’ edizione del Festival della Canzone italiana, ha spiccato il volo un artista, la cui esibizione è stata una boccata di ossigeno dopo le polemiche dei giorni scorsi. Ed è riuscita nel miracolo di unire finalmente tutti: critica, pubblico, concorrenti ed organizzatori.
Era bravo ma poco conosciuto al grande pubblico, il 44enne pianista torinese, Ezio Bosso. Nato come bassista rock, intorno ai sedici anni fu letteralmente folgorato dalla musica classica. Diventato allievo del maestro Ludwig Streicher, ha iniziato a studiare composizione e direzione d’orchestra all’Accademia di Vienna.
Cimentandosi anche in esibizioni da solista al piano, Bosso ha diretto varie prestigiose orchestre, tra cui la London Symphony, la London Strings, l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, la Filarmonica ‘900 e l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Vincitore di importanti riconoscimenti come il Green Room Award in Australia o il Syracuse NY Award in America, ha poi composto colonne sonore, in particolare per Gabriele Salvatores (Io non ho paura, Quo vadis baby?, Il ragazzo invisibile).
Il suo primo disco da solista, The 12th Room (EGEA Music) è uscito però soltanto nell’ottobre 2015.
A quarant’anni ha avuto la sventura di scoprire di essere affetto da SLA. Senza perdersi d’animo, ha proseguito a fare quello che lui più ama al mondo: suonare e comporre.
Mercoledì sera, tutta l’Italia ha conosciuto l’umanità e l’estro musicale di Ezio Bosso. Le note di Following a Bird ancora risuonano nel cuore di tanti telespettatori.
Alla bellezza della sua musica, Bosso ha saputo unire una stupefacente lezione di vita. Senza prediche ma con tutta l’emozione di chi ha il coraggio di mostrarsi per quello che è. Nel mondo dello spettacolo regna il luogo comune, secondo cui chiunque calchi il palcoscenico debba indossare una maschera e prestarsi al gioco dei ‘travestimenti’ che l’establishment impone.
La realtà delle cose, tuttavia, smentisce spesso questo assunto. È allora che ci accorgiamo che il musicista o l’attore più talentuoso è quello che al pubblico regala semplicemente se stesso, senza prestarsi a diventare un personaggio ‘di plastica’.
Nel suo breve dialogo con Carlo Conti prima dell’esibizione, il musicista non ha avuto paura di mostrare la sua malattia e ci ha ricordato alcune ovvietà… che ovvietà non sono: “Quando inizio un concerto, io dico sempre ciao… per me è una parola bellissima”.
Il presentatore gli ricorda la ‘profezia’ della portinaia che, quando il giovane Bosso studiava in conservatorio, gli aveva detto: “tu un giorno andrai a Sanremo”. E lui, umilissimo, le aveva replicato: “A Sanremo? Ma io non canto, io suono…”.
“La musica siamo noi – ha proseguito il pianista -. La musica è una fortuna che condividiamo. Noi ci mettiamo le mani ma la cosa più importante che esista è ascoltare”, ha aggiunto, quasi a voler chiamare il pubblico ad un ideale abbraccio con lui.
“La musica è una vera magia, non a caso i direttori hanno la bacchetta come dei maghi – ha scherzato -. La musica mi ha dato il ‘dono dell’ubiquità’”, ha detto con riferimento al fatto che alcune sue composizioni sono state eseguite a Londra da un “bravo direttore” con il “balletto più importante del mondo”, quello della Scala di Milano. Cita poi l’indimenticato maestro Claudio Abbado (1933-2014), che ricordava come la musica sia “la nostra più grande terapia”.
“Noi uomini tendiamo a dare per scontate le cose belle – ha osservato Bosso -. La vita è fatta di dodici stanze: nell’ultima, che non è l’ultima, perché è quella in cui si cambia, ricordiamo la prima. Quando nasciamo non la possiamo ricordare, perché non possiamo ancora ricordare, ma lì la ricordiamo, e siamo pronti a ricominciare e quindi siamo liberi”.
In un coro di commozione e consensi, non sono mancate voci isolate all’insegna del cattivo gusto. Come quella di un blog che ironizzava sulla bizzarra pettinatura del musicista, ricordandone anche la disabilità. “È perché mi pettino da solo…”, è stata la garbata e laconica replica di Bosso su Twitter.
Sotto il giogo della sua malattia, parla a fatica, Ezio Bosso. Ogni sua parola è però uno slancio del cuore, così come la sua musica è frutto di anni e anni di gavetta e sacrificio. Parole e musica che difficilmente potremo dimenticare.
Un artista è grande quando sul palco porta se stesso
Nel Sanremo delle polemiche, spicca la grande lezione di vita di Ezio Bosso, pianista e direttore d’orchestra affetto da SLA