Reti da pesca

Reti da pesca / Pixabay CC0 - 931527, Public Domain

Saper gettare le reti nel mare della vita!

L’obbedienza alla Parola del Padre ci può salvare, guidare e perché no, farci stare meglio, molto di più di come pensiamo di essere

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La cosa più assurda, ma che ormai ha preso piede tra la gente di ogni ceto sociale, spesso anche credente, è considerare la chiamata al servizio di Dio una netta privazione della vita reale. Non c’è cosa peggiore di un pensiero contorto come questo, che priva di fatto l’uomo della bellezza di essere al centro della sua vera dimensione umana e soprannaturale. Si è ormai confuso il progresso sociale e civile con il principio dell’avere e del possedere, al di là di ogni ragionevole misura, ma soprattutto oltre le regole della legalità, del buon senso, della moralità, del rispetto verso il prossimo e del benessere comune.
Soddisfare più vizi possibili è senz’altro, per l’opinione maggioritaria corrente, un esercizio che va soddisfatto fino in fondo, per conoscere bene i valori esistenziali ed essere al passo con i tempi. Niente di più falso! I risultati sono davanti a noi: malattie; solitudini strazianti; droga; alcool; violenza; insoddisfazioni permanenti; dipendenza sessuale acuta; gelosie e invidie croniche; corruzione elevata, ecc. C’è un errore grave di fondo che inficia dai primi passi il percorso umano. L’uomo è da Dio e non da se stesso. Prevale in realtà la certezza che il Creatore appartenga ad una sfera intimistica, con cui connettersi nei momenti più tragici della quotidianità.
L’uomo è libero di scegliere il suo destino, ma sappia che servire Dio non significa scappare dal mondo. Equivale invece a fortificarsi e liberarsi da tutte le “trappole” che la società si costruisce intorno, per imporre la sua limitata forza materiale e garantire un benessere pronto a sbriciolarsi. Obbedire alla volontà di Dio è penetrare nella sua Parola, farla propria. È vivere l’essenza e la modalità del proprio ministero, ordinato o non, ottenendo il lasciapassare verso la sapienza che sana ogni cosa. Non si scappa, ma si sceglie. Non si subisce, ma si è protagonisti. Non si è afflitti, ma gioiosi. Non si corre, ma si aspetta, per poi andare spediti. Non si cerca, ma si attrae.
Tutti esercitiamo un nostro ministero in mezzo agli altri. Lo esplichiamo con il lavoro; il volontariato; l’amicizia; la comunione in famiglia e all’esterno; la politica; l’economia; lo sport; lo studio; l’impegno sociale, culturale, artistico, religioso. La chiamata è per ognuno di noi. Bisogna sentirla e non far finta di nulla, alzando invece il volume dell’apatia abituale o dei mille frastuoni a cui oggi siamo sottoposti, per disabilitare la mente ed essere così soggiogati. Non possiamo perciò cambiare l’essenza e le modalità del nostro ministero di vita, perché rischiamo di intorpidire le acque della storia e della nostra presenza nella comunità.
Chiare e puntuali le parole di mons. Costantino Di Bruno, a primo acchito molto dure, ma che in realtà evidenziano la scelta personale di chi abbia deciso di stare da tutt’altra parte: “Quando si cambia essenza al ministero o alle modalità, per nostra volontà e non per suo comando, la missione diviene un fallimento. Dio mai rende fruttuosa una missione che non è vissuta secondo quanto Lui ha stabilito per noi. Se ci sottraiamo alla sua volontà, ci poniamo fuori della sua grazia e verità. Camminiamo da noi stessi, per noi stessi e non più per Lui. L’obbedienza deve essere dal principio alla fine”.
La strada è questa se si vuole concretamente contribuire alla salvezza del mondo, terrena e non. I soli rimedi soggettivi sono sempre circoscritti e precari. Per renderli sicuri bisogna coltivare la presenza dello Spirito Santo dentro di noi, che il Signore dona a tutti i suoi chiamati o a quanti si offrono a Lui. Non servono alchimie, né sedute particolari, tantomeno incontri paranormali, ma solo il gusto stabile della preghiera e una fede guidata dall’ascolto della Parola nella Chiesa e dal discernimento di un proprio maestro spirituale. Ogni cosa cambierà, al di là delle lodi e degli applausi della gente che ci sta attorno. Solo nel legame perpetuo con lo spirito noi possiamo capire la natura del bene che stiamo sollecitando.
Senza questo rapporto soprannaturale che tutela e guida la nostra obbedienza al Padre, al di là della nostra funzione sociale e professionale, rischiamo di inseguire solo ombre e ritirare vuote la reti gettate nelle acque del nostro tempo. Così come successe a Pietro! Tutto però cambia quando il discepolo scoraggiato ascolta la Parola di Gesù; obbedisce al suo comando e getta, assieme ai suoi compagni, ancora una volta le reti per la pesca. L’abbondanza dei pesci rischia di travolgere la barca e strappare le reti. “Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano”.  Cosa è avvenuto? Il pescatore, con la sua veterana esperienza, non era forse lo stesso?
La differenza è nell’aver riconosciuto la potenza dell’obbedienza che sposta l’origine di ogni pensiero, da se se stessi a Cristo Signore. Ancora mons. Di Bruno: “Nell’obbedienza è il Signore che opera tutto. È Lui che riempie le nostre reti. È Lui che fa fruttificare il nostro lavoro. È Lui che attira a noi ed è Lui che spinge i cuori a lasciarsi parlare da noi. Senza di Lui, siamo alberi secchi, senza frutto”. Oggi ogni ministero è gestito con pieno distacco dello Spirito Santo, in nome della nostra scienza e di qualsiasi altra perizia. Un comportamento che impedisce a Dio di operare attraverso noi stessi.
Non si spiega altrimenti come si possa permettere, con una legge dello Stato, l’adozione di un bambino a due persone dello stesso sesso, considerate alla stregua di una famiglia naturale. Tutto si può fare, certo, e sulla via della stoltezza sociale, ancora molto, purtroppo, si farà! L’umanità rischia di essere snaturata, affidando alla sola volontà dell’uomo anche gli interventi nei campi più sensibili ed etici, dove il confine con la “perversione” diventa impercettibile, se si abbandona il dialogo con il nostro spirito.
L’obbedienza alla Parola del Padre ci può salvare, guidare e perché no, farci stare meglio, molto di più di come pensiamo di essere. É questo il segreto per saper gettare le reti nel mare agitato della vita e poter fare sempre una pesca abbondante.
Chi volesse contattare l’autore può scrivere al seguente indirizzo email: egidiochiarella@gmail.com. Sito personale: www.egidiochiarella.it. Per seguire la sua rubrica su Tele Padre Pio: https://www.facebook.com/troppaterraepococielo

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Egidio Chiarella

Egidio Chiarella, pubblicista-giornalista, ha fatto parte dell'Ufficio Legislativo e rapporti con il Parlamento del Ministero dell'Istruzione, a Roma. E’ stato docente di ruolo di Lettere presso vari istituti secondari di I e II grado a Lamezia Terme (Calabria). Dal 1999 al 2010 è stato anche Consigliere della Regione Calabria. Ha conseguito la laurea in Materie Letterarie con una tesi sulla Storia delle Tradizioni popolari presso l’Università degli Studi di Messina (Sicilia). E’ autore del romanzo "La nuova primavera dei giovani" e del saggio “Sui Sentieri del vecchio Gesù”, nato su ZENIT e base ideale per incontri e dibattiti in ambienti laici e religiosi. L'ultimo suo lavoro editoriale si intitola "Luci di verità In rete" Editrice Tau - Analisi di tweet sapienziali del teologo mons. Costantino Di Bruno. Conduce su Tele Padre Pio la rubrica culturale - religiosa "Troppa terra e poco cielo".

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