Il ddl Cirinnà potrebbe aprire non semplicemente alla stepchild adoption ma all’adozione tout court. Secondo la quasi totalità dei giuristi italiani, la legge attualmente in discussione al Senato presenta caratteristiche in tutto simili a quelle di un vero e proprio matrimonio, pertanto la giurisprudenza non potrà non tenerne conto, sia che si pronunci favorevolmente che contrariamente.
Lo afferma il professor Alberto Gambino, avvocato civilista e docente di diritto privato all’Università Europea di Roma. A colloquio con ZENIT, il professor Gambino si è soffermato sugli aspetti propriamente giuridici del ddl, il cui impatto si profila dirompente.
Lunedì scorso il Senato ha respinto il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità del ddl Cirinnà. Questo progetto di legge, a suo avviso, è anticostituzionale?
La costituzionalità di una legge e la pregiudiziale di costituzionalità sono due concetti che non vanno confusi. La pregiudiziale è una valutazione da parte del parlamento su un fumus di eventuale incostituzionalità di una legge ma, come sappiamo, tale voto è determinato dalle eventuali maggioranze. Non è quindi una valutazione tecnica ma politica, data dall’organo parlamentare. In passato, in tantissimi casi il voto è stato favorevole e, a quel punto, i progetti poi diventati legge sono passati al vaglio della Corte Costituzionale, venendo spesso bocciati. È un voto, quindi, che non va assolutizzato.
La Costituzione italiana, comunque, tutela la famiglia fondata sul matrimonio…
Più delicata è l’eventualità che il capo dello Stato possa fare dei rilievi di non conformità alla Costituzione e rinviare la legge alle Camere. È un aspetto che terrei presente, perché stanno emergendo in questi giorni, tante voci di giudici della Consulta, che erano presenti alla Corte Costituzionale nel 2010, quando si decise sull’eventualità che il matrimonio potesse essere esteso a coppie dello stesso sesso. Quella stessa Corte aveva stabilito che non si può utilizzare l’istituto del matrimonio per unioni che riguardano convivenze tra persone dello stesso sesso: è insita nel matrimonio la differenza sessuale tra i coniugi, e questo è legato alla tradizione plurimillenaria del matrimonio e della famiglia e soprattutto alla capacità generativa dell’unione coniugale. Tale considerazione è molto importante perché, se così stanno le cose, l’attuale ddl Cirinnà, nella sua prima parte, indica nell’unione civile una forma di convivenza, che noi giuristi definiamo ‘istituzionale’, perché lega questa forma di convivenza alle stesse caratteristiche tipiche del matrimonio, così come definito dal Codice Civile. Non è quindi un’unione civile “di fatto”, legata solo ai diritti e ai doveri dei conviventi ma qualcosa che “giuridifica” il legame stesso dei conviventi, rendendolo davvero molto simile al matrimonio. Tutti i civilisti che hanno commentato il ddl Cirinnà, hanno riscontrato in questa scrittura delle unioni civili, un istituto sostanzialmente paramatrimoniale. Taluni sono favorevoli al ddl Cirinnà, altri sono contrari ma pressoché tutti i giuristi sono concordi nel riconoscere la sostanza ‘matrimoniale’ di questo ddl.
Se quindi la legge passasse al vaglio della Corte Costituzionale, cosa potrebbe succedere?
Nel caso in cui il Parlamento approvi il ddl Cirinnà, la Corte Costituzionale potrebbe confermare l’orientamento del 2010, affermando che tale istituto è illegittimo, dal momento in cui il matrimonio deve essere soltanto tra uomo e donna. Mettiamo però anche il caso che la Corte possa cambiare orientamento e che – secondo un’interpretazione davvero particolarmente creativa – affermi che l’evoluzione sociale o dei costumi, le nuove forme di vita familiare, portino a ritenere che il matrimonio possa essere anche tra persone dello stesso sesso. A questo punto, se così fosse, la legge rimarrebbe in piedi ma allora, come già è successo in tutti i paesi che hanno legiferato in questo modo, interverrebbe la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, stabilendo che, se questo è un istituto analogo al matrimonio, esso dovrà avere tutte le prerogative del matrimonio, compresa l’adozione. Non mi riferisco alla stepchild adoption ma all’adozione piena, a beneficio dei bambini che sono orfani. Ci troviamo dunque davanti ad una realtà che comunque porterà a conseguenze, in entrambi i casi, molto distanti dagli obiettivi che il partito di maggioranza afferma e cioè che si sta legiferando sulle unioni senza toccare il matrimonio e le adozioni in generale. Infatti, come detto, o la legge sarà bocciata dalla Consulta proprio perché crea un istituto equipollente al matrimonio, oppure, se passasse indenne, allora consentirà le adozioni piene: ripeto, entrambe le conseguenze sono invece a parole rifiutate dai promotori della legge, ma il diritto e la sua logica sono più forti di proclami e slogan… Poiché crediamo nella buona politica, riteniamo che il Parlamento debba tornare sui suoi passi e riscrivere questa prima parte del ddl, affinché non sia uno ‘scimmiottamento’ del matrimonio ma un istituto fondato su diritti e doveri dei conviventi.
Ritiene, quindi, che sia comunque necessaria una legge sulle unioni civili, ovviamente da non mettere sullo stesso piano del matrimonio?
La seconda parte del ddl Cirinnà potrebbe già rappresentare pienamente l’attribuzione di tutti quei diritti e quei doveri che, effettivamente, anche le coppie dello stesso sesso rivendicano. In questa seconda parte del ddl, quindi, sono inclusi tutti i richiami a quei diritti e doveri che la giurisprudenza ha già accettato ma che riterrei vadano inquadrati in una legge, non lasciandoli più all’incertezza dei giudici, ma codificandoli una volta per tutte in un testo normativo. Se tale testo fosse ritenuto troppo debole, lo si potrà eventualmente rivedere e rinforzare ma non a tal punto da creare uno status matrimoniale, come viene stabilito nella prima parte, perché in tal caso trascinerebbe a sé anche le adozioni e non la semplice stepchild adoption, cioè il caso circoscritto dell’adozione del figlio del convivente.
Un altro tema molto controverso del ddl Cirinnà è il riconoscimento della reversibilità della pensione nell’ambito delle unioni civili. Perché questa innovazione pone problemi?
Il tema della reversibilità è in parte economico ma in parte anche legato alla condizione della famiglia e del matrimonio. La reversibilità della pensione implica che, se muore una persona sposata, il coniuge supersite diventa automaticamente il destinatario della pensione del defunto. Nella concezione della nostra Carta Costituzionale, le persone che si sposano hanno davanti a loro un progetto fondamentale per la crescita della società – il mettere al mondo dei figli – e su questo investono la loro esistenza, consacrandola civilisticamente nell’istituto del matrimonio. Quindi, quando uno dei due coniugi rimane di solo, lo Stato gli riconosce la pensione. È lo Stato, quindi, che investe denaro, creando un istituto giuridico centrale per la crescita e lo sviluppo della società. La stessa cosa non si può dire con riferimento ad unioni che, da un punto di vista biologico, non possono procreare, quindi è molto meno logico che lo Stato consenta una reversibilità della pensione ad un soggetto che non compartecipa “istituzionalmente”, cioè con il matrimonio, alla crescita della società. Se una coppia non può, neanche astrattamente, generare figli, perché lo Stato dovrebbe accollarsi una spesa per loro?
Per quale motivo, a suo avviso, il governo sta “mettendo la faccia” in una questione così controversa che rischia di spaccare la maggioranza e il paese?
La mia impressione è che il governo starebbe volentieri alla lontana da un tema del genere, in primo luogo perché ha problemi di tenuta. Il governo Renzi non è espressione del partito di maggioranza relativa uscito dalle elezioni del 2013 ma è frutto di una coalizione di forze che, alle elezioni erano l’una contro l’altra. Un governo ‘precario’, dunque, dal punto di vista della omogeneità politica. Essendo spaccato sulle unioni civili, è evidente che il Governo vorrebbe davvero non toccarlo un tema così. Non è poi neanche giusto che il governo se ne occupi: è un tema talmente impegnativo che suscita interesse di tutta l’opinione pubblica,quindi è bene se ne occupi il parlamento.
Da tempo si parlava di unioni civili, quindi era abbastanza inevitabile che saremmo arrivati a testi di legge anche molto forzati come quello in discussione. Sarebbe stato forse più lungimirante governare questo processo a livello politico ed elaborare delle proposte che non fossero delle unioni civili paramatrimoniali ma il riconoscimento dei diritti e dei doveri nell’ambito delle convivenze, anche tra persone dello stesso sesso. Se dobbiamo fare qualche mea culpa, dobbiamo dire che davvero poche sono state le elaborazioni, le proposte di sintesi armoniche alla Carta Costituzionale, quindi si è arrivati a una forzatura. Forse occorreva avere la forza di opporre qualcosa di alternativo, che potesse trovare una via di una legge molto più condivisa di quella che sta uscendo in questi giorni dall’aula parlamentare. Ma su un tema così delicato non è davvero mai troppo tardi.
Wikimedia Commons
Ddl Cirinnà: anche stralciando la “stepchild adoption”, i problemi rimangono
Secondo il civilista Alberto Gambino, se la legge sulle unioni civili passasse, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo potrebbe imporre l’adozione a tutto tondo