“Non vengo in Messico come un Re Magio, carico di cose da portare”, ma piuttosto “come un pellegrino a cercare che il popolo messicano mi dia qualcosa”. Dopo la Cina, Francesco, il Papa globe-trotter, punta l’occhio al paese azteco che visiterà dal prossimo 12 febbraio fino al 18.
Lo fa in una intervista all’agenzia di Stato messicana Notimex. Più che un’intervista, un dialogo a tu per tu con alcuni cittadini messicani che, tramite video, hanno indirizzato al Santo Padre una serie di domande in vista della tanto attesa visita. Il risultato è un colloquio “carino e divertente”, come ha osservato padre Federico Lombardi, durante il quale Bergoglio – nelle risposte registrate a Santa Marta – focalizza quelli che saranno i temi cardine del suo dodicesimo viaggio internazionale.
Come l’impegno per la pace e il dialogo, in un paese che “vive il suo pezzettino di guerra, il suo pezzettino di sofferenza, di violenza, di traffico organizzato”, o la profonda devozione per la Vergine di Guadalupe, alla quale – dice il Papa – “mi affido quando ho dei problemi”.
Francesco dichiara subito quelle che sono le sue intenzioni dal prossimo 12 febbraio: “In Messico voglio essere uno strumento di pace”. Una missione che può compiere con l’ausilio di tutto il popolo, perché “da solo – spiega – non potrei, sarebbe una follia”.
Con realismo e una punta di rammarico, il Papa guarda poi all’attuale situazione del paese: un Messico “della violenza, della corruzione, del traffico di droga”, che – dice – “non è il Messico che vuole la nostra Madre”. Ovvero la Vergine di Guadalupe a cui il Santo Padre chiede di concedere il dono della pace, “del cuore, della famiglia, della città, di tutto il Paese”.
Bergoglio spiega quindi che obiettivo primario per la visita in Messico è di “pregare” con tutti i cittadini affinché si risolvano “i problemi di violenza e corruzione” e “per esortarvi a lottare ogni giorno contro la corruzione, contro il traffico, contro la guerra, contro la divisione, il crimine organizzato, contro il traffico degli esseri umani”.
“Bisogna combattere ogni giorno”, afferma il Vescovo di Roma, ma “non per la guerra” bensì “per la pace”. Pace che – ribadisce – è un lavoro artigianale, un lavoro che si impasta tutti giorni”, che non si costruisce a tavolino tra le potenze mondiali, ma dal basso, all’interno di un focolare domestico, “nel modo come educo un bambino o come accarezzo un bambino”.
Questi “semi” di pace nascono “dalla tenerezza, dalla comprensione”, sottolinea il Papa. E nascono soprattutto dal dialogo, che della pace è “la parola chiave”: “Il dialogo tra i dirigenti, con il popolo e dentro il popolo”. Sempre – incoraggia il Pontefice – bisogna essere “aperti a parlare con gli altri, ascoltare le ragioni altrui, lasciarsi correggere”.
Anche con un delinquente? Sì, anche un delinquente. O meglio “possiamo dialogare con chi può cambiare il cuore di questo delinquente”, afferma Francesco. Ed esorta a “non entrare in alcun intreccio che per guadagnare denaro, mi renda schiavo tutta la vita in una guerra interna e mi toglie la libertà, giacché la pace dà la libertà”.
Buona parte dell’intervista si concentra poi sulla devozione del Papa per la Madonna di Guadalupe, che è “Madre di tutti”. Quello della prossima settimana, sarà il terzo incontro del Pontefice argentino con la Virgen: il primo avvenne negli anni ’70 per un incontro di gesuiti; il secondo, 20 anni dopo, in occasione di un viaggio di Giovanni Paolo II.
Tuttavia quello di Francesco con la patrona del Messico è un rapporto filiale che si consuma giorno dopo giorno, specie – spiega – “quando ho paura di qualche problema”. A volte, racconta, “mi pongo davanti alla sua immagine e resto a guardarla”, oppure, nei momenti di difficoltà, “ripeto a me stesso le parole della Vergine a Juan Diego: ‘Non avere paura, non ci sono qui io che sono tua madre?’”. Allora “sento che è Madre, che cura, che protegge, che porta avanti un popolo, una famiglia”.
“Una delle due volte che l’ho visitata – ricorda ancora Bergoglio – mi volevano spiegare l’immagine, ma ho preferito di no, ho preferito rimanere in silenzio a guardarla”. Perché è un ‘immagine che già “dice molto”, che è “eloquente”, che mostra l’effigie “di una Madre che dà riparo, che cura, che è coinvolta con il suo popolo”.
A Lei il Papa chiede a tutti i messicani di rivolgere le proprie preghiere, in vista anche di un “rinnovamento spirituale”. Proprio questo è il più grande auspicio per la sua visita. “Io vengo per servirvi, per essere un servitore della vostra fede”, dichiara, e confida: “Per questo motivo sono diventato sacerdote, per servire, perché ho sentito questa vocazione a servire la vostra fede, la fede del popolo”.
Una fede che il Pontefice auspica possa “uscire fuori e porsi nella vita di tutti i giorni”; “nelle strade” e “non solo per una processione”, ma anche “nei luoghi di lavoro, a scuola, in famiglia” per risanare i contrasti. Una fede “pubblica”, dunque, forgiata soprattutto “nei momenti di crisi”.
“Oggi – constata infatti il Santo Padre – c’è una crisi di fede nel mondo, ma al tempo stesso abbiamo una grande benedizione e un gran desiderio che la fede esca, che la fede si faccia missionaria, che la fede non sia imbottigliata come in un barattolo di latta”, né rimanga chiusa “in un museo”.
Noi – ammonisce ancora il Papa – “non dobbiamo rimanere rinchiusi con il nostro Gesù e non lasciarlo uscire, perché Gesù esce con noi, se noi non usciamo, non esce neanche Lui”. Quindi tutti i cristiani devono mettersi “in cammino”: “La fede deve essere la mia ispirazione a impegnarmi con il mio popolo, e questo ha i suoi rischi, ha i suoi pericoli”.
Di qui di nuovo delle parole di incoraggiamento a tutto il popolo messicano: “Non siete un popolo orfano, perché vi gloriate di avere una Madre e quando un uomo o una donna o un popolo non si dimentica di sua Madre, si riceve una ricchezza che non si riesce a descrivere”. Come dice infatti un vecchio detto: “Anche un messicano ateo è guadalupano”.