“Peccatori sì, corrotti no”. È ormai uno slogan del pontificato di Francesco l’invettiva contro la brutta piaga della corruzione che “spuzza”, come diceva a Napoli, e da cui bisogna “guarire”, come affermava nel suo noto saggio breve.
Anche oggi a Santa Marta il Pontefice esprime la sua denuncia contro questa ‘mala pianta’ che avvelena l’animo umano, pregando affinché la debolezza che ci induce a peccare non si trasformi mai in corruzione. Perché in quel caso, è difficile tornare indietro, spiega il Santo Padre; nel senso che “un corrotto non ha bisogno di chiedere perdono”, non ne sente l’esigenza. Al contrario di altri peccatori, a lui basta il potere su cui poggia la propria corruzione.
E questo è grave, afferma Francesco, che richiama la vicenda biblica di re Davide, il quale si innamora di Betsabea, moglie del suo ufficiale Uria, al punto da architettare un piano per coprire l’adulterio. Scrive, cioè, una lettera in cui ordina: ‘Ponete Uria a capitano, sul fronte della battaglia più dura, poi ritiratevi da lui, perché resti colpito e muoia’. Insomma una “condanna a morte”: un uomo “fedele” come Uria, “fedele alla legge, fedele al suo popolo, fedele al suo re”, sottolinea il Papa, “porta con sé la condanna a morte”. Mentre Davide, “santo ma anche peccatore”, porta con sé il morbo della lussuria.
“Questo – rileva il Pontefice – è un momento nella vita di Davide che ci fa vedere un momento per il quale tutti noi possiamo andare nella nostra vita: è il passaggio dal peccato alla corruzione. Qui Davide incomincia, fa il primo passo verso la corruzione. Ha il potere, ha la forza…”. Lui è “sicuro” di quello che commette, “perché il regno era forte”. E perché ha il diavolo da un lato che gli sussurra: “Ce la fai”.
Che è quello che suggerisce a chiunque abbia potere: “Sia potere ecclesiastico, religioso, economico, politico”, dice il Papa. “Per questo – aggiunge – la corruzione è un peccato più facile per tutti noi che abbiamo qualche potere … Perché il diavolo ci fa sentire sicuri: ‘Ce la faccio io’”.
Questo tipo di corruzione è quindi entrato nel cuore del “grande e nobile” Davide, quel “ragazzo coraggioso” che aveva affrontato il filisteo Golia con una misera fionda. “C’è un momento – rimarca Bergoglio – dove l’abitudine del peccato o un momento dove la nostra situazione è tanto sicura e siamo ben visti e abbiamo tanto potere” che il peccato smette “di essere peccato” e diventa “corruzione”. E “una delle cose più brutte che ha la corruzione è che il corrotto non ha bisogno di chiedere perdono”, rimarca il Papa, “non se la sente…”.
Tuttavia, “il Signore sempre perdona”. Lo si vede appunto nella storia di Davide: Dio continua a volergli “tanto bene” nonostante questi arrivi a ordinare l’assassinio di un uomo leale pur di andare a letto con la consorte. E alla fine Dio lo riscatta dalla corruzione.
Perché “il Signore sempre perdona”, ribadisce il Pontefice. Allora oggi, esorta, “facciamo una preghiera per la Chiesa, incominciando da noi, per il Papa, per i vescovi, per i sacerdoti, per i consacrati, per i fedeli laici: ‘Ma, Signore, salvaci, salvaci dalla corruzione’”. Ricordando che “peccatori sì, Signore – siamo tutti – ma corrotti mai!’”.
PHOTO.VA - L'Osservatore Romano
Santa Marta: "Corruzione facile peccato per chi ha potere ecclesiastico, politico, economico"
Nella Messa mattutina, Francesco ribadisce: “Peccatori sì, corrotti no!”, spiegando che “la cosa più brutta della corruzione è che il corrotto non sente il bisogno di chiedere perdono”