Auschwitz

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"Sì, io mi ricordo"

Una riflessione in occasione della Giornata della Memoria

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«L’antisemitismo, l’odio nei confronti del popolo ebraico, è stata e rimane una macchia sull’anima dell’umanità».

Quel che Martin Luther King diceva nel 1969 conserva ancora oggi intatta la sua forza e torna utile per spazzar via ogni forma di retorica sul tema della violenza e della discriminazione, specie mentre ci si accinge, nel Giorno della Memoria, a ricordare la Shoah, un evento apocalittico per la sua tragicità e per le aberranti ragioni che la determinarono.

Lo sterminio degli ebrei – e con essi pure di zingari, omosessuali e avversari politici dei nazisti – fu prima preparato, coltivando un sentimento ostile verso le persone oggetto di tanta ferocia, e pianificato poi con meticolosa, ragionata e disumana determinazione. La soluzione finale giunse al termine di una campagna in cui l’odio venne alimentato da una mistura di crudeli bugie che trovarono nell’ignoranza, nella paura e nel fanatismo becero il terreno di coltura adatto per attecchire. Quegli stessi sentimenti di ignoranza, crudeltà e fanatismo che ancora adesso, a ben guardare, sia pure sotto altre vesti, minacciano la convivenza civile, la democrazia, per molti versi il futuro della comune casa europea.

Da allora sono passati poco più di 70 anni: non un’eternità, eppure i ragazzi di oggi non riescono a immaginare nemmeno lontanamente che cosa sia davvero avvenuto nei campi di sterminio (da qui l’utilità delle visite scolastiche). Auschwitz è il segno del Bene che viene negato. Nell’interpretazione di Lévinas, il nazismo è la rivelazione della possibilità ontologica che insidia l’umanità, quella dell’emergere del Male come scatenamento degli istinti e dei sentimenti primordiali e bestiali. Una potenzialità negativa insita nel più intimo essere dell’uomo di ogni tempo. Ne discende che il limite che separa la vittima dal carnefice e, che prontamente ne ribalta i ruoli, è così infinitamente esile che occorre essere vigili: quell’inferno, in cui il Male diventa banale e perciò comune e diffuso, è sempre dietro l’angolo.

È proprio questo il rischio che stiamo correndo oggi, smemorati come siamo – o fingiamo d’essere – di un passato che potrebbe invece illuminare e fortificare. Ecco perché il Giorno della Memoria può essere preziosa, a patto che sia vissuta come momento privilegiato di etica condivisa, un’occasione per riconoscere che anche nelle buie  e nebbiose stagioni di barbarie la responsabilità delle proprie azioni – e dei pensieri che le muovono – è personale.

Una giornata, allora, in cui fa bene a tutti ricordare: a chi vorrebbe dimenticare perché il dolore subito è troppo grande e a chi vorrebbe farsi dimenticare, perché di quel dolore è stato complice. E ricordare fa bene – anche e soprattutto – a chi l’inferno della Shoah non l’ha vissuto, né direttamente né attraverso persone care: senza passato si è miseri. Senza memoria non si riesce a progredire. Senza radici si è smarriti e sperduti.

+ Vincenzo Bertolone

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Vincenzo Bertolone

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