Sulla carta è già stato delineato, dopo il placet dei nove cardinali consiglieri del C9; ora il progetto di riforma della comunicazione vaticana va definito negli ultimi dettagli e solo “quando riusciremo a individuare un percorso di soluzione senza passare sulla testa delle persone lo presenteremo”. D’altronde mica si parla di scartoffie: di mezzo ci sono le “storie personali” di “700 persone, 700 famiglie”, “700 percorsi diversi”.
Da neppure un anno alla guida della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, mons. Dario Edoardo Viganò ha già le idee chiare sul percorso che il suo neonato dicastero dovrà seguire. L’ex direttore del Ctv è apparso per la prima volta in veste ufficiale di prefetto in Sala Stampa vaticana, dove, in mattinata, insieme al direttore di TV2000 Paolo Ruffini e alla biblista del Sant’Anselmo Marinella Perroni, ha presentato il messaggio del Papa per la 50° Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali.
Parlando di comunicazione, l’interesse dei giornalisti si è subito concentrato sulle prospettive della Segreteria istituita dal Papa con Motu proprio il 27 giugno 2015, che sembra destinata ad accogliere sotto il suo tetto ogni mezzo di comunicazione della Santa Sede (Radio Vaticana, Osservatore Romano, Ctv, Sala Stampa). Viganò, interpellato sulla questione, ha sottolineato che tale processo di snellimento è già stato approvato – dopo un lavoro di istruttoria svolto nei mesi passati da diverse commissioni, in particolare quella di Lord Pattern – ma non avviato, appunto perché non può prescindere dalle situazioni dei diversi dipendenti (la Radio Vaticana, ad esempio, ne conta oltre 300).
Tuttavia il prefetto ha anticipato che, all’interno del suo Dicastero, si prevede la creazione di tre diversi dipartimenti: uno per la tecnologia, utile ad integrare le competenze tecnologiche dei vari media in modo da “portare una visione unitaria, realizzare investimenti più performanti e non moltiplicare le iniziative”; uno per l’orientamento teologico-pastorale, che erediterà il lavoro del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni sociali, guidato da mons. Claudio Maria Celli; uno per la linea editoriale, che possa “concertare sui vari media la comunicazione da dentro a fuori”.
Comunicazione che sarà sicuramente orientata dalla misericordia, “cuore” di questo tempo giubilare. Il rapporto tra Chiesa e misericordia “non è estrinseco né accidentale, ma costitutivo e tocca l’identità stessa della Chiesa”, la quale ha infatti “la responsabilità di narrare in parole e opere, in atteggiamenti e forme di vita, il volto misericordioso di Dio in Cristo”, ha spiegato il monsignore.
E ha citato Hans Urs von Balthasar quando affermava “che la questione della misericordia è un caso serio, sia nel senso di grave sia nel senso di elemento essenziale”. Essa va declinata “in parole di speranza e di vita”, “in gesti coinvolgenti, lasciandoci toccare dalle vicende dell’umano e sapendo, come più volte ricorda Papa Francesco, toccare la carne degli ultimi”.
La misericordia passa pure attraverso il silenzio. Quel silenzio che, in un tempo come quello attuale, una “Geenna del rumore” in cui soffia il “vento di chiacchiere e pettegolezzi” e si riscontra un “disamore per l’ascolto”, diventa forma indispensabile di comunicazione. Nll’assordante contemporaneità , ha osservato Viganò, “nasce spontanea la nostalgia del silenzio, il desiderio di far ammutolire le parole strumentalizzate e di scoprire le parole del silenzio”.
Perché “più un individuo è capace di stare in silenzio, maggiore è il valore delle parole che proferirà, essendo esse il frutto di una meditazione”. Bergoglio stesso ha utilizzato tale ‘tecnica’ sin dall’inizio del suo pontificato, rendendo così la prima apparizione dalla Loggia delle Benedizioni un ‘evento trasformativo’. “Trasformativo perché tutto è stato preceduto da un grande momento di silenzio, quando il Papa ha chiesto di pregare per lui”.
Sulla stessa linea, la prof.ssa Perroni si è soffermata nel suo intervento sul binomio “comunicazione-misericordia”, sottolineando come questo Giubileo sia “un anno fecondo per coniugare la parola misericordia con tante realtà”, al fine di evitare che vengano ridotti a “luoghi comuni” , “devozionismi” o, ancora peggio, “trappole ideologiche” cose “che hanno un senso teologico robusto”.
In particolare, la docente ha tracciato una netta distinzione tra “udire” e “ascoltare”: due operazioni che “richiedono due diverse capacità, ma anche due diversi atteggiamenti”. “Un conto è udire, un altro è ascoltare – ha sottolineato -. Perché si arrivi ad ascoltare e non soltanto ad udire, ci vuole una mediazione che passa assolutamente dalla disponibilità del cuore”. Quella che, nell’ottica biblica, non riguarda nulla di sentimentale, emotivo o emozionale, ma si traduce nella “sapienza del vivere e della vita che ciascuno è riuscito a costruire dentro se stesso”.
“Quando la comunicazione passa attraverso il ‘cuore’, quando è impastata a sapienza del vivere e sapienza della vita, diviene ministero della misericordia”, ha assicurato la biblista, offrendo lo spunto a Ruffini per spiegare quanto sia difficile “raccontare la misericordia attraverso le immagini”.
“Per comunicare la misericordia – ha detto il direttore di Tv2000 – bisogna camminarci dentro. Farne esperienza. Condividerla”. Perché la sfida di una comunicazione televisiva fondata sulla misericordia sta proprio “nella capacità di guardare alle cose e ancora di più alle persone”.
Invece oggi sembra che la tendenza attuale sia “ridurre lo share ad un numero che misura una massa; ad un indice che serve per pesare il valore degli investimenti pubblicitari o anche solo una connessione senza comunicazione”.
Quindi una televisione che vuole guardare il mondo sotto la luce della misericordia “non può aver paura di essere piantata nella realtà”. C’è “una grandezza” che ogni televisione, ma anche ogni mezzo di comunicazione, deve misurare ed è quella “della pienezza, della bellezza” della condivisione, dell’essere “prossimi alle persone in carne ed ossa nel mondo reale, non in quello virtuale”, ha evidenziato Ruffini .
“E’ una grandezza che sta nella sua unicità”, ha aggiunto; una grandezza che si ritrova in quel tipo di Tv che “non si rinchiude nel chiuso dei propri studi”, né “vende sogni a buon mercato”, ma “è capace di cogliere la grandezza anche nelle piccole cose” scegliendo come criterio la prossimità “per comprendere, capire, sorprendersi e sorprendere, agire, scegliere. Per piangere e per ridere. Per emozionarsi. Per ragionare”.
In altre parole – ha concluso il giornalista – bisogna “avere lo stesso sguardo di Gesù sul mondo, e raccontare la realtà senza arrendersi agli stereotipi; ai circoli viziosi delle condanne e delle vendette, che, come scrive il Papa, continuano ad intrappolarci”. E proprio in virtù di questo, ha annunciato, Tv2000 dedicherà una trasmissione specifica al Family Day che si terrà a Roma il prossimo 30 gennaio.