Pope Francis in Paul VI Room (archive)

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Papa Francesco: "No a lavoro schiavo, illegalità e raccomandazioni"

Nell’affollatissima udienza con il Movimento Cristiano Lavoratori, il Pontefice tuona contro la corruzione e l’illegalità “una piovra che avvelena”; poi denuncia la piaga della disoccupazione giovanile

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Una udienza ‘calda’ quella di Papa Francesco al Movimento Cristiano Lavoratori, che contrasta con il freddo di questa mattina a Roma, al quale si sono sottoposti tutti i partecipanti fin dalle prime ore di questa mattina. Molti di loro sono rimasti fuori dalla udienza, nonostante le numerose ore di viaggio.

Sono 12mila i presenti in Aula Paolo VI, che hanno occupato tutti i posti a sedere (e anche quelli in piedi) cantando insieme al Coro della Schola Cantorum in attesa del Santo Padre e applaudendo ai video-messaggi di incoraggiamento del patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, e del cardinale arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe.

Il Papa arriva in ritardo (“Vi chiedo scusa abbiate pazienza ma le udienze si sono allungate…”, dice dopo), accolto da bandierine azzurre con il logo del movimento, cercando di percorrere velocemente il corridoio mentre mani e braccia tentano di afferrarlo. Lui si ferma solo ad accarezzare e benedire alcuni bambini.

‘Caldi’ sono pure i temi che il Pontefice affronta nel suo discorso: illegalità, raccomandazioni, favoritismi, disoccupazione giovanile, corruzione. Francesco centra subito il punto e parla di “vocazione al lavoro”, quella che anima il MCL sin dalla sua fondazione negli anni ’70. Tale vocazione, dice, “nasce da una chiamata che Dio rivolse fin dal principio all’uomo, perché ‘coltivasse e custodisse’ la casa comune”. Così – aggiunge – “nonostante il male che ha corrotto il mondo e anche l’attività umana, nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita”.

Francesco suggerisce quindi tre parole che possono essere d’aiuto al lavoro dell’associazione. La prima è “educazione” che significa “trarre fuori”, “estrarre il meglio dal proprio cuore”. Educare, spiega il Pontefice, ”non è solo insegnare qualche tecnica o impartire delle nozioni, ma rendere più umani noi stessi e la realtà che ci circonda”. E questo vale in modo particolare per il lavoro: “Occorre formare a un nuovo ‘umanesimo del lavoro’”, rimarca Bergoglio, “dove l’uomo, e non il profitto, sia al centro; dove l’economia serva l’uomo e non si serva dell’uomo”.

“Viviamo infatti in un tempo – aggiunge a braccio – in cui si sfruttano i lavoratori, dove il lavoro non è al servizio della dignità della persona, ma è un lavoro schiavo”. E’ dunque necessario un lavoro “dove l’uomo e non il profitto sia al centro”,  e “un’economia che serva l’uomo e non se ne serva”.

Educare – prosegue poi il Papa – significa anche “aiutare a non cedere agli inganni di chi vuol far credere che il lavoro, l’impegno quotidiano, il dono di sé stessi e lo studio non abbiano valore”. Oggi, infatti, nel mondo del lavoro “è urgente educare a percorrere la strada, luminosa e impegnativa, dell’onestà, fuggendo le scorciatoie dei favoritismi e delle raccomandazioni”, sottolinea.

Vanno pertanto “respinte” quelle “tentazioni, piccole o grandi” che il Papa bolla come “compravendite morali, indegne dell’uomo”. Bisogna invece “abituare il cuore a rimanere libero. Altrimenti – avverte Francesco – ingenerano una mentalità falsa e nociva, che va combattuta: quella dell’illegalità, che porta alla corruzione della persona e della società”.

Illegalità che si può paragonare ad “una piovra” che “non si vede, sta nascosta, sommersa, ma con i suoi tentacoli afferra e avvelena, inquinando e facendo tanto male”. In tal senso educare “è una grande vocazione”, perché può aiutare i giovani “a scoprire la bellezza del lavoro umano”.

La seconda parola è quindi “condivisione”, perché “il lavoro – annota Papa Francesco – non è soltanto una vocazione della singola persona, ma è l’opportunità di entrare in relazione con gli altri”. Esso “dovrebbe unire le persone, non allontanarle, rendendole chiuse e distanti. Occupando tante ore nella giornata, ci offre anche l’occasione per condividere il quotidiano, per interessarci di chi ci sta accanto, per ricevere come un dono e come una responsabilità la presenza degli altri”.

“È importante che gli altri non siano solo destinatari di qualche attenzione, ma di veri e propri progetti”, soggiunge il Santo Padre, “tutti fanno progetti per sé stessi, ma progettare per gli altri permette di fare un passo avanti: pone l’intelligenza a servizio dell’amore, rendendo la persona più integra e la vita più felice, perché capace di donare”.

L’ultima parola è allora testimonianza. Mediante l’attività si può testimoniare la fede, “vincendo la pigrizia e l’indolenza”, come diceva San Paolo, che diede una regola molto forte e chiara: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi”. Ecco, osserva il Papa, se allora c’erano persone “che volevano mangiare due volte facendo lavorare gli altri”, oggi “ci sono persone che vorrebbero lavorare, ma non ci riescono, e faticano persino a mangiare”.

Soprattutto sono i giovani che non trovano un’occupazione: essi sono “i nuovi esclusi del nostro tempo”, tuona Bergoglio, “e vengono privati della loro dignità”. “Alcuni paesi di questa Europa, la nostra Europa, tanto colta, la gioventù dai 25 anni in giù arriva al 47% di disoccupazione… – afferma a braccio – Cosa fa un giovane che non lavora? Come finisce? Nelle dipendenze, nelle malattie psicologiche, nei suicidi, e non sempre si pubblicano le statistiche dei suicidi giovanili. Questo è un dramma, è il dramma dei nuovi esclusi del nostro tempo che vengono privati della loro dignità”.

Da un lato c’è quindi “la giustizia umana” che “chiede l’accesso al lavoro per tutti”, dall’altro “la misericordia divina che ci interpella di fronte alle persone in difficoltà e a situazioni faticose”. Il pensiero del Vescovo di Roma è per i tanti ragazzi e ragazze per cui “sposarsi o avere figli è un problema, perché non hanno un impiego sufficientemente stabile o la casa”.

Di fronte a queste situazioni difficili “non serve fare prediche”, chiosa Francesco, ma “occorre invece trasmettere speranza, confortare con la presenza, sostenere con l’aiuto concreto”. L’incoraggiamento è quindi a dare una testimonianza di “gratuità, solidarietà, spirito di servizio” a partire “dallo stile di vita personale e associativo”. Perché “il discepolo di Cristo, quando è trasparente nel cuore e sensibile nella vita, porta la luce del Signore nei posti dove vive e lavora”. 

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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