Autoritratto, Gian Paolo Lomazzo (1538 – 1592) / Wikimedia Commons, Public Domain

Autoritratto di un artista

La pittura come metafora dell’intelletto

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Pittore e trattatista, Giovanni Paolo Lomazzo si forma negli anni Cinquanta del Cinquecento presso la bottega milanese di Giovan Battista della Cerva, tuttavia mostra ben presto interesse per la scrittura alla quale si dedica completamente in seguito al graduale abbassamento della vista che, culminando nel 1572, lo conduce alla totale cecità. Le principali notizie sul pittore ci giungono proprio dall’autobiografia in versi posta in appendice delle Rime del 1585, raccolta di scritti su argomenti vari.
L‘artista raffigura sé stesso come membro dell’Accademia dei Facchini della Val di Blenio, singolare consesso di artisti, orefici, artigiani, musici ed attori teatrali, ispirata agli aspetti più goliardici dei misteri bacchici e volta alla ricerca del furor creativo e dell’estro bizzarro. Gli affiliati si creavano un nome ed una personalità fittizia e si riunivano sotto le false spoglie di popolani, nello specifico di facchini provenienti dalla zona di Blenio, con l’intenzione di fondo di mantenere una sorta di segreto iniziatico secondo uno spirito giocoso e caricaturale (1).
Il ritratto rientra tra le poche opere pittoriche pervenuteci dell‘artista e si evince una particolare lettura del Manierismo lombardo, in questo caso caratterizzato da un esperto uso dello sfumato leonardesco. Le dita del pittore sono strette intorno ai pennelli e ad una tela, simboli del mestiere d’artista. L’impostazione del volto di tre quarti e inclinato verso il basso, lo sguardo sfuggente e la smorfia aggrottata marcano un’intenzionalità discorde rispetto al tipico ritratto cinquecentesco italiano, frontale, diretto ed eroico. Proprio lo sguardo vivace e ammiccante cattura l’attenzione, sottolineato dalla luce proveniente da destra che sembra fondersi con l’incarnato del volto (2).
Nella sottile banda in basso affiora l’iscrizione in maiuscole capitali ZAVARGNA.NABAS.VALLIS.BREGNI.ET.IPL.PITR 15[…] (3) in lingua “facchinesca”, linguaggio utilizzato dai membri dell’Accademia, ispirato alle inflessioni dell’alto comasco e del Canton Ticino, l’area della Val di Blenio per l’appunto. Compà Zavargna era il nome accademico di Lomazzo, a cui fu affidata la carica di nabàd (cioè priore dell’Accademia della Val di Blenio) nel 1568, stesso anno della realizzazione del dipinto. Nella Introducigliògn dei Rabìsch dra Academiglia dor compà Zavargna, la raccolta di componimenti poetici dei facchini, si trovano descritti gli attributi tipici dell’Accademia che caratterizzano l’autoritratto: il cappello di paglia (capelàsc), che rimanda all’ambiente popolare tipico dell’Accademia; la medaglia d’oro (galigliògn) con l’innaffiatoio, sigillo dell’Accademia che rievoca la profusione di vino tipica delle feste orgiastiche; la cappa di pelliccia di capretto (Pèll d’or cavrètt) su cui poggia un tirso, bastone rituale attribuito al dio Bacco, caratterizzato da una pigna posta sulla cima, in questo caso sostituita dalla punta di una lancia, con tralci di vite ed edera intrecciati lungo l’asta (4). Lomazzo pertanto rappresenta sé stesso circondato da elementi che raffigurano una doppia vocazione, con la volontà di affermare visivamente sia l’artista che l’accademico; due aspetti di un’unica personalità che vengono ulteriormente ed inequivocabilmente palesati nell’iscrizione, posta come una firma.
Il richiamo alla pittura di Leonardo, e nello specifico allo studio degli effetti di luce, è presente il Lomazzo fin dalle prime opere, come testimonia una sua copia dell’Ultima cena nel refettorio di Santa Maria della pace a Milano, datata 1560. Da qui in poi lo studio dello sfumato leonardesco viene applicato nella realizzazione di figure che emergono gradualmente da un fondo scuro, con un uso sapiente delle velature e dei tocchi di luce. Ma è soprattutto negli scritti che Lomazzo riesce a teorizzare le basi fondamentali per una pittura che possa trarre il meglio dagli insegnamenti di Leonardo, nonché di Michelangelo e Raffaello. Nel Trattato dell’Arte della Pittura, Scoltura et Architettura, edito per la prima volta nel 1585 a Milano, Lomazzo dedica il quarto libro interamente alla luce ed esprime tutta la sua ammirazione per l’efficacia della resa pittorica nelle opere dei grandi maestri del passato: «[…] veggiamo Michelangelo avere solamente osservato un lume principale nelle superficie più ad esso lume, e negli altri di grado in grado averli minuiti proporzionalmente. Il medesimo, ma con maggiore ombra hanno osservato Leonardo da Vinci, Raffaello d’Urbino, Gaudenzio, e Cesare da sesto nelle sue figure, le quali hanno perciò un rilievo mirabile sì che paion nascer fuori dal quadro; e con loro Bernardino Luini, e molti altri, ma più grossamente.
Per dare adunque forza e rilievo a tutte le figure, bisogna reggersi con ordine sotto un lume maggiore di tutti gli altri, i quali poi secondo la distanza e lontananza si vanno perdendo; e tener questa regola, siccome l’hanno tenuta i sopradetti pittori, e gli altri, che perciò sono stati reputati degni del nome di pittori, perché sono stati cotanto parchi nel dare il chiaro, che non altrimenti che gemma preziosa l’hanno distribuito nelle sue figure» (5). Lomazzo con il suo trattato invita l’artista che intende migliorarsi ad acquisire una buona maniera, rivolgendo un attento sguardo al passato, al fine di conoscere i diversi tipi di perfezione pittorica e giungere ad una scelta ragionata del modello pittorico al quale attingere secondo la propria sensibilità. Tutto rimanda al tema che Lomazzo ritiene centrale nei suoi scritti, ovvero una concezione della pittura come strumento di fondamentale importanza per l’uomo poiché dà la possibilità di usare al meglio il dono più nobile e prezioso fatto da Dio: l’intelletto.
Bibliografia
D. ISELLA, Lombardia stravagante, Einaudi, Torino 2005
G. P. LOMAZZO, Rabisch dra Academiglia dor compa Zavargna nabad dra Vall d Bregn, Milano 1589 (nuova ed. a cura di D. ISELLA, Einaudi, Torino 1993)
G.P. LOMAZZO, Trattato dell‘Arte de la Pittura, Scoltura et Architettura di Gio. Paolo Lomazzo milanese pittore. Diuiso in sette libri. Ne’ quali si contiene tutta la theorica, & la prattica d’essa pittura, Milano, Paolo Gottardo Pontio, 1585
J. B. LYNCH, Giovanni Paolo Lomazzo’s self portrait in the Brera, in «Gazette des Beaux Arts», LXIV, 1964, pp. 189 ss.
S. STEFANI, Idea dello stile della pittura di Giovan Paolo Lomazzo, in «ACME», XVI, fasc. II, 1963, pp. 41 ss.
*
NOTE
1) LOMAZZO 1589
2) LYNCH 1964
3) “Zavargna priore della Val di Blenio e Giovanni (I) Paolo (P) Lomazzo (L) pittore 15 […]”
4) LOMAZZO 1589
5) LOMAZZO 1585, Libro IV, Cap. XX

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Flavia Sciortino

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