Saint Thomas Aquinas

San Tommaso d'Aquino, Carlo Crivelli (circa 1435–circa 1495) / Wikimedia Commons - http://www.nationalgallery.org.uk/paintings/carlo-crivelli-saint-thomas-aquinas, Public Domain (cropped)

Dal mondo a Dio

L’originalità della metafisica di San Tommaso d’Aquino (Prima parte)

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Il mondo, come abbiamo visto nei precedenti articoli[1], è l’oggetto di indagine della metafisica, la quale è la scienza degli enti reali che sono nel mondo, e li studia nel modo più radicale possibile, cioè li analizza in quanto enti, considerando quindi i principi e le strutture che sono propri di ogni ente in quanto tale. Essa è quindi il fondamento di ogni scienza, poiché ogni scienza è scienza dell’ente secondo uno specifico punto di vista: la fisica studia l’ente in quanto naturale, la botanica in quanto vegetale, la zoologia in quanto animale, ecc., ma la metafisica si chiede semplicemente “cos’è l’ente?” e cerca una risposta che sia la più esauriente possibile.

Il concetto di ente è composto da due significati distinti e connessi tra loro: “ciò che” e “è”.

Ciò che denota la cosa e l’essenza di questa, mentre l’è si riferisce all’esistenza o all’atto di essere della cosa. La metafisica di Aristotele ha analizzato l’ente come ciò che, in particolare come sostanza. Il mondo per il filosofo greco è un insieme di sostanze, con specifiche essenze, che si generano e si corrompono, come è stato mostrato precedentemente[2].

 San Tommaso, che ha studiato a fondo sia la Metafisica che la Fisica aristotelica, concorda con le tesi del filosofo greco, ma la sua metafisica non è una riproposizione di quella di Aristotele.

Scrive in proposito Maritain:

“E’ interessante considerare il rapporto tra San Tommaso e Aristotele. E’ un grosso errore, Gilson ha ragione di insistere su questo, di dire, come ripetono tanti professori, che la filosofia di San Tommaso è la filosofia di Aristotele. La filosofia di San Tommaso è quella di San Tommaso. E sarebbe anche un grosso errore dire che San Tommaso non deve la sua filosofia a Aristotele, come Dante deve la sua lingua al bel parlare dei fiorentini. […] Aristotele è stato, nel mondo dei filosofi, il più grande realista e il più perspicace scopritore delle appercezioni prime dell’intelletto, come il più severo iniziatore alle esigenze inderogabili di un lavoro strettamente razionale […]. San Tommaso [a differenza di Aristotele] non si fermò all’ente, è andato dritto all’essere, all’atto di essere […]”.[3]

San Tommaso non si è fermato alla “cosalità” degli enti, ma si è interrogato sull’essere degli enti.

Ogni ente è, si dà, è presente, esiste e l’esistenza è il fondamento di ogni ente e non viceversa. L’intero cosmo è, cioè esiste, e non è il cosmo il fondamento della sua esistenza, ma, al contrario, è la sua esistenza che fa sì che il cosmo sia piuttosto che non sia.

Barzaghi, rifacendosi al Gaetano, mette in evidenza come nella metafisica di San Tommaso sono presenti due significati del termine ente: “uno nominale (ens ut nomen) e uno participiale (ens ut participium).

Come nome, ente indica direttamente il soggetto e connota l’essere. In astratto significa l’essenza (entità) e in concreto il soggetto strutturato. E’ il soggetto dell’essere, la prima tematizzazione dell’ente metafisico, che ha la sua compattezza nella ricchezza dei predicamenti e delle proprietà trascendentali dell’ente stesso”[4].

L’ente, inteso come nome, riguarda questo o quell’ente, questo albero o quel fiore; riguarda, quindi, sempre un soggetto (sub-jectum), una sostanza, che avrà sempre una determinata essenza (essenza-albero o essenza-fiore). L’ens ut nomen, è analizzato, come abbiamo visto in precedenza [5], dal punto di vista trascendentale e predicamentale.

I trascendentali sono gli attributi universali che sono propri dell’ente in quanto ente. Essi sono dedotti logicamente dal concetto di ente e, trattandosi di una deduzione logica, la loro distinzione è operata dalla ragione e non riguarda la realtà. Le distinzioni riguardano, quindi, il modo di considerare la realtà e non la realtà in se stessa.

I predicamenti sono le dieci categorie, le quali sono determinazioni della realtà, e sono quindi, a differenza dei trascendentali, realmente distinte le une dalle altre. Aristotele presenta una sorta di “catalogo” della realtà, classificandola secondo dieci modi di essere: sostanza, quantità, qualità, relazione, azione (produrre), passione (subire), quando o tempo, dove o luogo, sito (le circostanze del luogo), abito (l’essere rivestito).

La categoria ontologica fondamentale, secondo Aristotele e San Tommaso, è la sostanza, perché tutte le altre sono ad essa subordinate, in quanto esistono soltanto in riferimento a lei.

L’ente inteso “come participio (presente del verbo essere: più propriamente sarebbe essente, ma si lascia la classica e tecnica espressione di ente dal latino ens), esso indica direttamente l’essere e consignifica il soggetto. E’ l’essere del soggetto, la seconda esplicitazione dell’ente metafisico: l’essere come atto di essere (esse ut actus essendi)”[6].

Barzaghi, per esplicitare la differenza tra il significato di ente come nome e come participio, fa un’analogia con il concetto di studente, il quale può essere inteso con entrambi i significati.

Scrive:

“Come nome, studente è un sostantivo che indica un soggetto caratterizzato dall’attività di studiare, anche se attualmente non sta studiando, cioè non sta esercitando questa attività: in questo modo appare la dicitura «studente»  sul documento di identità personale, a modo di qualifica. Come participio (presente del verbo studiare), esso indica principalmente l’attività dello studiare esercitata da un soggetto: adesso, attualmente sta studiando. Nel primo caso si pone l’accento prospettico sul soggetto dell’attività, nel secondo caso lo si pone sull’attività del soggetto”[7].

Ente, o essente, come participio è quindi l’atto di essere dell’ente, ciò che consente all’ente di permanere nell’esistenza. Ogni ente reale è quindi composto da una sostanza con una sua essenza (ente come nome) e da un atto di essere (ente come participio). Le distinzioni tra sostanza-essenza-atto di essere sono reali, e il fondamento ontologico di ogni ente è il suo atto di essere.

Io sono, ma non è il mio io ad essere il fondamento della mia esistenza, ma è vero il contrario: è il sono il fondamento del mio io, tanto è vero che tempo fa io non ero e tra qualche tempo io non sarò più. Se l’io fosse il fondamento dell’essere, cioè dell’esistenza (come sosteneva Cartesio), ogni io, cioè ogni essere umano, sarebbe eterno.

La conoscenza dell’essere, o, come dice propriamente San Tommaso, dell’atto dell’essere, è problematica perché il filosofo, come anche lo scienziato, analizza oggetti di indagine determinati e dà per scontato la loro esistenza, la quale propriamente non è un oggetto.

Maritain afferma giustamente, come è stato mostrato in precedenza[8], che la conoscenza dell’essere è “naturale”, quindi prefilosofica e prescientifica, e di carattere intuitivo.

Scrive in proposito:

“Tutto dipende […] dall’intuizion
e naturale dell’essere; dall’intuizione dell’atto di esistere […].

Destiamoci dunque dal sonno, cessiamo di vivere nei sogni o nella magia delle immagini e delle formule, delle parole, dei segni e dei simboli pratici. Quando un uomo è destato alla realtà dell’esistenza e della sua esistenza, quando percepisce realmente questo fatto formidabile, talora inebriante, talora doloroso e che riempie di sgomento: io esisto, allora egli è preso dall’intuizione dell’essere e dalle implicazioni che essa comporta”[9].

Il filosofo fa notare che, propriamente, l’intuizione dell’esistenza delle cose del mondo precede l’intuizione dell’esistenza personale.

Scrive:

“Per essere esatti, questa intuizione primordiale è al tempo stesso l’intuizione della mia esistenza e dell’esistenza delle cose: ma prima di tutto dell’esistenza delle cose. Quando questa sopraggiunge io mi rendo conto improvvisamente che un dato essere, uomo, montagna o albero esiste, ed esercita questa attività sovrana di essere, con un’indipendenza totale da me […]”[10].

Gli enti del mondo sono e la loro esistenza non dipende da me, ma neanche da se stessi, altrimenti sarebbero eterni, sono invece contingenti, oggi ci sono e domani non ci sono più. Il loro essere da chi dipende?

(Questo articolo è l’ultimo di due serie; una intitolata La metafisica dell’essere. Per quelli che il Creatore non esiste e l’altra intitolata La metafisica aristotelico-tomista).

La seconda parte sarà pubblicata sabato 28 novembre.

*

NOTE

[1] Vedi la serie di articoli intitolata: La metafisica aristotelico-tomista.

[2] Ibidem. In particolare le parti VI, VII, VIII, IX.

[3] J. Maritain, Le paysan de la Garonne. Un vieux laïc s’interroge à propos du temps présent, Desclée de Brower, Paris 1966,  pp. 197-198.

[4] G. Barzaghi, Dio e ragione. La teologia filosofica di San Tommaso d’Aquino,  Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1996, pp. 19-20.

[5] Vedi la serie di articoli intitolata: La metafisica aristotelico-tomista. In particolare le parti V e VI.

[6] G. Barzaghi, Dio e ragione. La teologia filosofica di San Tommaso d’Aquino, cit., p. 20.

[7] Ibidem.

[8] Vedi l’articolo intitolato: La metafisica dell’essere. Per quelli che il Creatore non esiste.

[9] J. Maritain, Alla ricerca di Dio, Edizioni Paoline, Roma 1960, p. 9.

[10] Ibidem.

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Maurizio Moscone

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