Pope Francis celebrates a Mass for the martyrs of Uganda near the Catholic shrine of Namugongo in Kampala

ANSA

Il Papa: "Martiri testimoniano che potere e piaceri mondani non danno gioia duratura"

A Namugongo, nella Messa per il 50° della canonizzazione dei Martiri ugandesi, Francesco esorta a non conservare il loro esempio in un museo ma a portarlo nell’angolo più remoto del mondo

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Circa 200mila fedeli sono assiepati nel fango e nell’erba del grande parco antistante al Santuario di Namugongo, che sorge nel luogo che ricorda il sacrificio di fede dei 22 martiri dell’Uganda. Lì Papa Francesco vi celebra la Messa per il 50° della loro canonizzazione, in un tripudio di inni e canti, in lingue e tradizioni locali mescolate con quelle del rito latino.

La testimonianza di fede dei martiri è il filo conduttore dell’omelia del Santo Padre, pronunciata tutta in italiano. Una “testimonianza d’amore per Cristo e la sua Chiesa” che “ha giustamente raggiunto gli estremi confini della terra” e per cui ogni cristiano deve sentirsi grato, dice.  “Tutti questi testimoni – afferma il Pontefice – hanno coltivato il dono dello Spirito Santo nella propria vita ed hanno dato liberamente testimonianza della loro fede in Gesù Cristo, anche a costo della vita, e molti in così giovane età”. “Anche noi abbiamo ricevuto il dono dello Spirito, per diventare figli e figlie di Dio, ma anche per dare testimonianza a Gesù e farlo conoscere e amare in ogni luogo”. 

Per cui “ogni giorno – sottolinea il Papa – siamo chiamati ad approfondire la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita”. Siamo chiamati, cioè, a “ravvivare” questo dono di Dio dato proprio per “essere condiviso”, perché “ci unisce gli uni agli altri come credenti e membra vive del Corpo mistico di Cristo”. “Non riceviamo il dono dello Spirito soltanto per noi stessi, ma per edificarci gli uni gli altri nella fede, nella speranza e nell’amore”, rimarca Francesco. 

Lo dimostra l’esempio dei santi Joseph Mkasa e Charles Lwanga, appunto, “che, dopo essere stati istruiti nella fede dagli altri, hanno voluto trasmettere il dono che avevano ricevuto”. E lo fecero in tempi pericolosi: “Non solo la loro vita fu minacciata ma lo fu anche la vita dei ragazzi più giovani affidati alle loro cure. Poiché essi avevano coltivato la propria fede e avevano accresciuto l’amore per Dio, non ebbero timore di portare Cristo agli altri, persino a costo della vita”. La loro fede divenne quindi testimonianza, e oggi, “venerati come martiri”, “il loro esempio continua ad ispirare tante persone nel mondo”.  

“Se, come i martiri, noi quotidianamente ravviviamo il dono dello Spirito che abita nei nostri cuori, allora certamente diventeremo quei discepoli missionari che Cristo ci chiama ad essere. Per le nostre famiglie e i nostri amici certamente, ma anche per coloro che non conosciamo, specialmente per quelli che potrebbero essere poco benevoli e persino ostili nei nostri confronti”, aggiunge il Santo Padre. 

L’apertura verso gli altri incomincia infatti “nella famiglia, nelle nostre case, dove si impara la carità e il perdono, e dove nell’amore dei nostri genitori si impara a conoscere la misericordia e l’amore di Dio”. Ma si esprime pure “nella cura verso gli anziani e i poveri, le vedove e gli orfani”. Infatti “non abbiamo bisogno di viaggiare per essere discepoli missionari”, sottolinea il Santo Padre. È vero che la chiamata “ad uscire verso gli altri e portare il Vangelo a tutti” a volte “può anche portarci ai confini del mondo, come missionari in terre lontane”. Questo “è essenziale per la diffusione del Regno di Dio, e vi domando sempre una generosa risposta a tale esigenza”, dice il Pontefice.

Tuttavia è altrettanto fondamentale “aprire gli occhi alle necessità che incontriamo nelle nostre case e nelle nostre comunità locali per renderci conto di quante opportunità ci attendono”. Come membri della famiglia di Dio, dobbiamo infatti “assisterci l’un l’altro, proteggerci l’un l’altro, e condurci l’un l’altro alla pienezza della vita”. Per questo il Papa esprime profonda gratitudine anche a tutti i vescovi, sacerdoti, consacrati e catechisti “che in tanti modi hanno offerto il loro aiuto alle famiglie cristiane”. “Possa la Chiesa in questo Paese, specialmente mediante le comunità parrocchiali, continuare ad assistere le giovani coppie nella preparazione al matrimonio, incoraggiare gli sposi a vivere il legame coniugale nell’amore e nella fedeltà, e assistere i genitori nel loro compito di primi maestri della fede dei figli”, è il suo auspicio.

Parlando di fede, Bergoglio torna poi a riflettere su quella che animò i 22 martiri. “La loro fede cercò il bene di tutti, incluso lo stesso Re, che li condannò per il loro credo cristiano”, afferma. “La loro risposta intese opporre all’odio l’amore, e in tal modo irradiare lo splendore del Vangelo. Essi non si limitarono a dire al Re quello che il Vangelo proibiva, ma mostrarono con la loro vita che cosa realmente significa dire ‘sì’ a Gesù”. 

Un segno, questo, di “misericordia e purezza di cuore”, di umiltà e povertà in spirito e di “sete della giustizia”, nella speranza della “ricompensa eterna”. Soprattutto una testimonianza – oggi come allora – “che i piaceri mondani e il potere terreno non danno gioia e pace durature. Piuttosto, la fedeltà a Dio, l’onestà e l’integrità della vita e la genuina preoccupazione per il bene degli altri ci portano quella pace che il mondo non può offrire”. 

“Ciò non diminuisce la nostra cura per questo mondo, come se guardassimo soltanto alla vita futura”, spiega il Pontefice. Al contrario, “offre uno scopo alla vita in questo mondo e ci aiuta a raggiungere i bisognosi, a cooperare con gli altri per il bene comune e a costruire una società più giusta, che promuova la dignità umana, senza escludere nessuno, che difenda la vita, dono di Dio, e protegga le meraviglie della natura, il creato, la nostra casa comune”.

È questa l’eredità dei Martiri ugandesi: “vite contrassegnate dalla potenza dello Spirito Santo, vite che testimoniano anche ora il potere trasformante del Vangelo di Gesù Cristo”. E di questa eredità “non ci si appropria con un ricordo di circostanza o conservandola in un museo come fosse un gioiello prezioso”. Semmai, spiega il Santo Padre, “la onoriamo veramente, e onoriamo tutti i Santi”, quando la portiamo “nelle nostre case e ai nostri vicini, sui posti di lavoro e nella società civile, sia che rimaniamo nelle nostre case, sia che ci rechiamo fino al più remoto angolo del mondo”.

Per cui la speranza è che “possano i Martiri ugandesi, insieme con Maria, Madre della Chiesa, intercedere per noi, e possa lo Spirito Santo accendere in noi il fuoco dell’amore divino! Omukama Abawe Omukisa! Dio vi benedica!”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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