Il Papa nello slum di Kangemi: "Bambini 'carne da cannone' per affari insanguinati"

Nella baraccopoli di Nairobi, il Papa denuncia la mancanza di servizi di base e chiede terra, casa e lavoro per pagare il “debito sociale” dei poveri

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Mungu awabariki! Dio vi benedica!” dice Francesco ai 2mila uomini, donne, anziani e bambini che lo accolgono nel quartiere povero di Kangemi, uno dei tanti slum che corollano il territorio di Nairobi. Non poteva mancare nell’itinerario del Pontefice in Kenya un momento nelle “periferie” a lui tanto care. E questa di Kangemi non è forse tra le più “estreme”, grazie anche al lavoro svolto in passato da alcune ong, ma ben rappresenta uno scorcio della profonda miseria che segna le terre d’Africa.

La bidonville raccoglie infatti circa 250mila persone quotidianamente in lotta contro la mancanza d’acqua – quella corrente viene e va per la mancanza di una rete di drenaggio e le fogne sono del tutto inesistenti -, contro la paura ‘esterna’ di incendi e inondazioni, contro l’insicurezza ‘interna’ causata da violenze, criminalità, spaccio di droga, abusi sessuali. Tuttavia proprio nel cuore di questa baraccopoli degradata sorge la parrocchia di San Giuseppe Lavoratore, che i gesuiti hanno saputo rendere centro nevralgico di numerose attività: un ambulatorio, un istituto tecnico, un centro di assistenza maternità e di cura per malati di Aids. 

Nella Chiesa, Bergoglio vi giunge intorno alle 8.30 (ora locale), dopo aver percorso a piedi le strette stradine in terra battuta e fango, in mezzo alle abitazioni in legno e lamiera. Tra canti e bandierine sventolanti viene accolto dal superiore provinciale dei Gesuiti per l’Africa Orientale, p. Joseph Oduor Afulo, dal parroco p. Pascal Mwijage, dall’arcivescovo di Mombasa e presidente di Caritas Kenya, mons. Martin Musonde Kivuva e altre personalità. Francesco appone poi la sua firma sul Libro degli Ospiti e assiste alla proiezione di un documentario di 5 minuti che mostra il volto più drammatico di questo agglomerato urbano e umano. Quindi ascolta la testimonianza di Pamela Akwede, abitante di Kibera, la bidonville più la più grande di tutta l’Africa, oltre che la più pericolosa a causa del suo altissimo tasso di criminalità. In essa, cresciuta a ridosso della ferrovia, vivono 1milione e 200mila persone (alcuni dicono anche 2milioni), senza servizi e in mezzo al disordine fisico e morale.

Nel suo breve ma intenso saluto, in spagnolo, Papa Francesco dice che qui, in mezzo a quella povertà e quegli stenti, si sente “a casa” e condivide “questo momento con fratelli e sorelle che, non mi vergogno a dire, hanno un posto speciale nella mia vita e nelle mie scelte”. “Sono qui perché voglio che sappiate che le vostre gioie e speranze, le vostre angosce e i vostri dolori non mi sono indifferenti”, afferma il Pontefice. “Conosco le difficoltà che incontrate giorno per giorno!”, aggiunge. 

Ma prima di denunciare le ingiustizie subite, pone in luce un altro aspetto, apparentemente paradossale in uno scenario del genere: “la saggezza dei quartieri popolari”. Una saggezza – spiega – “che scaturisce da un’ostinata resistenza di ciò che è autentico, da valori evangelici che la società del benessere, intorpidita dal consumo sfrenato, sembrerebbe aver dimenticato”. Voi, invece, “siete in grado di tessere legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo”, afferma Francesco.

Tutta la cultura dei quartieri poveri è “impregnata” di questa particolare saggezza, che si esprime in valori come “la solidarietà”, “dare la propria vita per l’altro”, “preferire la nascita alla morte”, “dare una sepoltura cristiana ai propri morti”, “offrire un posto per i malati nella propria casa” e “condividere il pane con l’affamato”. 

“Valori che si fondano sul fatto che ogni essere umano è più importante del dio denaro”, evidenzia il Pontefice, che di cuore dice: “Grazie per averci ricordato che esiste un altro tipo di cultura possibile”. Questi valori, prosegue, “non si quotano in Borsa”, con essi “non si specula né hanno prezzo di mercato”. E questo è bello. Riconoscere queste manifestazioni di “vita buona”, non significa tuttavia ignorare “la terribile ingiustizia della emarginazione urbana”. Ovvero quelle “ferite” provocate da minoranze che “concentrano il potere, la ricchezza” e “sperperano egoisticamente mentre la crescente maggioranza deve rifugiarsi in periferie abbandonate, inquinate, scartate”. 

Ciò – osserva il Santo Padre – si aggrava con l’ingiusta distribuzione del terreno che “porta in molti casi intere famiglie a pagare affitti abusivi per alloggi in condizioni edilizie per niente adeguate”. Per non parlare “del grave problema dell’accaparramento delle terre da parte di ‘imprenditori privati’ senza volto, che pretendono perfino di appropriarsi del cortile della scuola dei propri figli”. “Questo accade – afferma il Papa – perché si dimentica che Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno”.

In tal senso, un grosso problema è la mancanza di accesso alle infrastrutture e servizi di base, come bagni, fognature, scarichi, raccolta rifiuti, luce, strade, ma anche scuole, ospedali, centri ricreativi e sportivi, laboratori artistici. In particolare Francesco accusa la mancanza di acqua potabile che “è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale”. “Negare l’acqua ad una famiglia, attraverso qualche pretesto burocratico, è una grande ingiustizia, soprattutto quando si lucra su questo bisogno”, afferma.

Non manca poi di stigmatizzare la violenza che si diffonde nel contesto già ostile delle slum, e anche le organizzazioni criminali che “al servizio di interessi economici o politici, utilizzano i bambini e i giovani come ‘carne da cannone’ per i loro affari insanguinati”. Senza dimenticare “le sofferenze di donne che lottano eroicamente per proteggere i loro figli e figlie da questi pericoli”. 

“Chiedo a Dio che le autorità prendano insieme a voi la strada dell’inclusione sociale, dell’istruzione, dello sport, dell’azione comunitaria e della tutela delle famiglie, perché questa è l’unica garanzia di una pace giusta, vera e duratura”, è l’auspicio del Pontefice. Le realtà elencate non sono infatti “una combinazione casuale di problemi isolati”, quanto piuttosto la conseguenza “di nuove forme di colonialismo, che pretende che i paesi africani siano pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco”, dove non mancano “pressioni” affinché “si adottino politiche di scarto come quella della riduzione della natalità”.

A questo proposito, il Papa rilancia l’idea di “una rispettosa integrazione urbana”. “Né sradicamento, né paternalismo, né indifferenza, né semplice contenimento”, dice, “abbiamo bisogno di città integrate e per tutti. Abbiamo bisogno di andare oltre la mera declamazione di diritti che, in pratica, non sono rispettati, e attuare azioni sistematiche che migliorino l’habitat popolare e progettare nuove urbanizzazioni di qualità per ospitare le generazioni future”. 

Tre sono in particolare le “T”, tierra, techo, trabajo (terra, casa, lavoro), con cui – evidenzia paga “il debito sociale, il debito ambientale con i poveri delle città”. “Non è filantropia, è un dovere di tutti”, dice. L’appello del Pontefice è quindi rivolto ad ogni cristiano, in particolare ai Pastori, “a rinnovare lo slancio missionario, a prendere l’iniziativa contro tante ingiustizie, a coinvolgersi nei problemi dei cittadini, ad accompagnarli nelle loro lotte, a custodire i frutti del loro lavoro collettivo e a celebrare insieme ogni piccola o grande vittoria”. 

Ma tutti gli uomini di buona volontà sono chiamati a pregare e lavorare insieme “perché ogni famiglia abbia una casa decente, abbia accesso all’acqua potabile, abbia un bagno, abbia energia sicura per
illuminare, per cucinare, per migliorare le proprie abitazioni… perché ogni quartiere abbia strade, piazze, scuole, ospedali, spazi sportivi, ricreativi e artistici; perché i servizi essenziali arrivino ad ognuno di voi; perché siano ascoltati i vostri appelli e il vostro grido che chiede opportunità”. Perché tutti, insomma, conclude il Papa, possano “godere della pace e della sicurezza” che meritano “secondo la vostra infinita dignità umana”. 

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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