Il fervore dei religiosi in un’Africa effervescente

È necessaria una controtendenza che riporti il prete africano all’incarnazione e all’inculturazione del suo modello antropologico originario caratterizzato dai valori di condivisione e solidarietà 

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Sorprende l’effervescenza vocazionale dell’Africa che accompagna la crescita dei battezzati cattolici con l’aumento esponenziale di chi decide di consacrarsi a Dio nella vita sacerdotale e religiosa. Papa Francesco nel complesso ludico ed educativo dei Padri Spiritani, vestigia della presenza missionaria ed evangelizzatrice dei religiosi europei, ha voluto incontrare coloro che hanno scelto di seguire Cristo nell’adesione ai consigli evangelici e al ministero sacerdotale.

Francesco, da religioso ed educatore durante la sua militanza nella Compagnia di Gesù, ha impartito una lezione di spiritualità della vita consacrata raccomandando innanzitutto la rettitudine d’intenzione. Il clero, infatti, viene spesso considerato in Africa un traguardo sociale o una garanzia di autosostentamento dal quale anche il clan familiare può trarre vantaggi.

Urge pertanto un discernimento oculato nella verità verso se stessi propedeutica al raggiungimento di quella riconciliazione, giustizia e pace che è il leit motif dell’episcopato africano dall’Africae Munus in poi. Nel Continente Nero si è più lontani dal coinvolgimento emotivo che i media occidentali suscitano sulle polarizzazioni curiali e gli scandali ivi afferenti, ma rimane all’ordine del giorno una controtestimonianza tollerata in nome del concetto che riveste il capo clan, quale il prete viene considerato nella sua comunità locale. Negli Ashanti, ad esempio, è come una persona sacra, “che non può più camminare scalzo, non può più sedersi per terra. Non è permesso toccarlo, né sparlarne”.

Papa Francesco propone una rivoluzione antropologica sul modello di Cristo venuto per servire e non per essere servito. Il paradigma, anzi, è il servire la Chiesa e non il servirsi della Chiesa. Una parresìa che sin dagli inizi del suo pontificato Francesco ha fatto riconoscere umilmente ed efficacemente parlato di una Chiesa “peccatrice ma non corrotta” consapevole delle fragilità umane ma anche della partecipazione alla redenzione di Cristo di questa stessa umanità.

L’esperienza di San Pietro è eloquente in questo senso e la sua figura, la sua vicenda, ispira il suo successore che è Papa Francesco all’atteggiamento empatico e compassionevole del consacrato sui dolori del mondo. Erede dell’ascetica ignaziana e fruitore della letteratura mistica, Papa Francesco utilizza l’immagine delle lacrime come espressione di coinvolgimento intraprendente e solidale alle sofferenze altrui, ma anche come eloquente segno di pentimento e conversione sincera.

Accanto a preti e religiosi africani esemplari ed edificanti, uno dei problemi che gli episcopati dell’Africa affrontano è quello della disaffezione ai più poveri proprio da parte del clero autoctono che predilige la città, le parrocchie più abbienti lasciando ai missionari la periferia più povera e impegnativa.

È necessaria una controtendenza che riporti il prete africano all’incarnazione e all’inculturazione del suo modello antropologico originario dove i valori della condivisione e della solidarietà hanno costruito la cultura africana rendendo ogni villaggio la casa comune del villaggio globale. La riserva di umanità che offre il Continente deve trovare nei suoi uomini di Chiesa quel lievito in fermento per la crescita dell’uomo attraverso la spiritualità; la crescita  di una popolazione che con il battesimo è capace di accogliere anche la croce e trasfigurarla nella speranza del Risorto che “fa nuove tutte le cose”.

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Alfonso Maria Bruno

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