Amici per il Centrafrica Onlus

Amici per il Centrafrica Onlus

“C’è la guerra, ma i nostri volontari non si fermano…”

Carla Pagani, presidente dell’associazione Amici per il Centrafrica, racconta la sua missione, che sta portando scuole, ospedali e sviluppo nel paese

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Tra i missionari italiani che accoglieranno papa Francesco domenica prossima nella Repubblica Centrafricana, non mancano i laici. Una realtà significativa è rappresentata dall’Associazione Amici per il Centrafrica, onlus nata nel novembre 2001, dall’esperienza di alcuni volontari giunti nel paese per collaborare ad una missione gestita dalle suore comboniane.

In 14 anni gli Amici per il Centrafrica hanno esteso la loro azione ad altri paesi dell’Africa subsahariana, aprendo e sostenendo 15 scuole, due dispensari, due centri sanitari, un centro di riabilitazione per disabili e un centro odontoiatrico. La onlus ha inoltre sostenuto l’avvio di 400 cooperative con oltre 14mila coltivatori, occupandosi anche della formazione degli insegnanti e sostenendo la causa dei diritti umani dei Pigmei.

A colloquio con ZENIT, Carla Pagani, socia fondatrice e presidente di Amici per il Centrafrica ha raccontato la sua esperienza, nata da una serie di intuizioni a seguito di un viaggio non missionario nel paese. Ne è nata una missione tanto avvincente, quanto piena di ostacoli e difficoltà. Nemmeno lo scenario di guerra attuale sta però scoraggiando la generosità dei volontari.

Signora Pagani, come nacque l’idea di dare vita alla vostra onlus?

Tutto è iniziato durante un viaggio che non prevedeva alcun impegno particolare. Nel 2000, assieme a la mia figlia più piccola, andai a far visita a mia zia, missionaria comboniana, impegnata per i diritti dei Pigmei, che da tempo aveva desiderio di vedermi. Mia zia lavorava anche come ostetrica in un piccolo centro sanitario, dove non v’era nulla, al di fuori della tettoia e delle stuoie. La situazione era disumana e mi chiesi come avrei potuto aiutarla. Tutto cambiò il giorno in cui una bambina mi morì tra le braccia e mia zia, provocandomi a fin di bene, mi disse: “Sì, piangi, piangi, poi quando tornerai in Italia, per te tutto sarà uguale a prima…”. Per me fu come un colpo allo stomaco che mi diede l’impulso ad agire: era necessario mettere su un centro sanitario come si deve.

Quando tornai in Italia, iniziai subito a raccogliere i fondi ed oggi abbiamo un centro sanitario, provvisto di reparto maternità e dispensario e una dozzina di posti letto appena fuori dalla foresta. Dopodiché, ci siamo resi conto che era necessario costituire una onlus, di cui io sono tra i soci fondatori. Siamo operativi soprattutto nella Repubblica Centrafricana, oltre che, per necessità particolari, in altri paesi africani: la formazione, la sanità e lo sviluppo. Abbiamo cominciato con le scuole, fino a che, nel 2008, abbiamo avviato un progetto tutto nostro per un centro nella capitale. Ricordo che mia zia mi disse: “Nella foresta, almeno mangiano, nella capitale, purtroppo, la gente vive molto peggio”. Nel 2005, intanto, lei era morta, ma ho sempre sentito il suo aiuto dal Cielo.

Quali sono i risultati più importanti che avete conseguito in questi 14 anni?

Il centro Joie de vivre oggi ospita circa 550 bambini per la formazione. Abbiamo iniziato con la scuola, ora stiamo proseguendo con un dispensario, che concluderemo entro i prossimi due-tre mesi, dove si farà anche formazione per infermieri operativi in laboratorio. Avremo anche un laboratorio di analisi ed un centro odontoiatrico. Per quel che riguarda la formazione, mentre costruivamo le nostre scuole, mi accorsi che mancavano insegnanti formati. Mia figlia, che nel frattempo si era laureata in psicologia dell’infanzia, mi disse: “smetti di costruire scuole, inizia a costruire uomini…”. Abbiamo così avviato un centro di formazione pedagogica che ha visto la luce nel 2011 e che, da allora, ha già diplomato un’ottantina di insegnanti, oggi altamente richiesti. Il nostro centro, tra l’altro, è stato definitivamente riconosciuto dal governo lo scorso luglio. Con la passione e l’amore, abbiamo fatto miracoli, al punto che noi stessi quasi non ci rendiamo conto di tutto quello che abbiamo fatto. Abbiamo 3000 bambini nelle scuole per tutta l’Africa, abbiamo lanciato anche un progetto con la Fondazione Cariplo e con i Carmelitani.

Quante persone sono a vostra disposizione in Centrafrica?

Attualmente sono in sette ma ci appoggiamo anche alle suore. Quando abbiamo lanciato il centro, abbiamo subito cercato una congregazione, quindi ora lavoriamo in partenariato con una congregazione francese la Providence des hommes. Abbiamo volontari fissi, tra cui un’eccezionale infermiera, e altri che prestano servizio da qualche settimana a tre mesi.

L’attuale situazione di conflitto ha creato problemi alla vostra attività?

Abbiamo lavorato sempre con molta serenità, anche negli ultimi anni, e non abbiamo mai abbandonato le nostre strutture. Quando andai nel gennaio 2014 mi dissi: “qui bisogna fare qualcosa”. Il centro l’avevamo aperto a tutti i bambini, in certi giorni arrivavamo ad accoglierne 1200. Si faceva anche scuola di formazione alla pace, era il momento che le scuole erano tutte ferme ma noi abbiamo cercato di andare avanti. Nel momento in cui tutti vedevano nero e volevano andarsene, abbiamo cercato di operare per la riconciliazione. Oltretutto noi italiani siamo sempre ben visti, c’è un aspetto umano che ci porta a collaborare bene insieme alla gente del posto.

Il momento più drammatico?

Nel 2013, una notte i Seleka sono entrati nella casa dei volontari. Con il mitra puntato, ci hanno portato via tutto. Ci hanno fatto aprire i container e ci hanno portato via l’unico pickup che avevamo, oltretutto quasi nuovo. Abbiamo quindi dovuto ricominciare da capo. Sono quei momenti in cui dici: “cosa posso fare?”. Noi abbiamo sempre pensato che in questa guerra la povera gente non c’entra. I volontari sono rimasti e ci siamo rimboccati le maniche, nonostante questa brutta esperienza.

Domenica prossima è previsto l’arrivo di papa Francesco, con l’apertura della prima Porta Santa a Bangui. Che aspettative vi suscita la visita del Santo Padre?

Spero che il Papa possa portare una ventata di riconciliazione tra tutta la popolazione, senza diversità di religione, etnia e che la sua visita possa rappresentare un nuovo punto di partenza per il paese. Purtroppo è più di un anno che, per una serie di ragioni, non posso più recarmi in Centrafrica. Fino all’ultimo, però, ho sperato di poterci tornare, anche perché sono convinta che avrei provato sensazioni di una ventata di cambiamento.

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Per informazioni e approfondimenti: www.amicicentrafrica.it

 

 

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Luca Marcolivio

Roma, Italia Laurea in Scienze Politiche. Diploma di Specializzazione in Giornalismo. La Provincia Pavese. Radiocor - Il Sole 24 Ore. Il Giornale di Ostia. Ostia Oggi. Ostia Città (direttore). Eur Oggi. Messa e Meditazione. Sacerdos. Destra Italiana. Corrispondenza Romana. Radici Cristiane. Agenzia Sanitaria Italiana. L'Ottimista (direttore). Santini da Collezione (Hachette). I Santini della Madonna di Lourdes (McKay). Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato (Vallecchi).

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