Il 25 novembre 2015 nel giardino della State House di Nairobi, Papa Francesco ha emulato la tradizione dei giovani scolari kenioti di piantare un albero per la posterità.
È un gesto che evoca quell’ecologia sull’uomo presente nell’enciclica Laudato si’ e che rende profetiche quelli che furono i propositi di Jacques Diouf, alla vigilia del secondo Sinodo per l’Africa.
Un cattivo governo produce una cattiva economia che spiega non solo il paradosso della povertà in un continente ricco di risorse e di potenzialità, ma anche l’esistenza di tensioni sociali spesso dovute alla sperequazione e di conflitti regionali, come da sempre afferma il cardinale ghanese Peter Turkson che sta accompagnando il viaggio apostolico.
Il Kenya è forse il paese africano che più di ogni altro ha sviluppato il turismo sulla valorizzazione delle sue bellezze naturali attraverso il safari.
In lingua swahili “safari” significa “lungo viaggio”, tema caro alla dinamica sinodale che papa Francesco sta proponendo alla Chiesa.
Nel suo discorso alle autorità e ai rappresentanti de corpo diplomatico pronunciato dal palazzo del governo, Francesco si è ispirato “all’immensa bellezza del Kenya, nelle sue montagne, nei suoi fiumi e laghi, nelle sue foreste, nelle savane e nei luoghi semi-deserti”.
Il significato non è il solo richiamo alla preservazione della “casa comune” del creato, ma anche il perseguimento del bene comune dove “vi è un chiaro legame tra la protezione della natura e l’edificazione di un ordine sociale giusto ed equo”.
In Africa, un kitsch sfacciato, ma pieno di fantasia e vita di una biologia esuberante e instancabile lavora, produce, prolifera e fiorisce senza sosta e senza sosta si ammala, si decompone, si tarla e marcisce.
È un fenomeno speculare all’uomo africano la cui biofilia si manifesta con il tasso di natalità più alto del mondo e con l’età media della popolazione più bassa del mondo.
Delusioni e speranze si alternano nella vicenda storica del continente nero, dalla decolonizzazione alla neocolonizzazione subdola e spietata.
Secondo il teologo congolese Bénezet Bujo, anche la cultura africana si sta secolarizzando benché persistano, specie in aree suburbane le costanti dell’identità religiosa africana ricca in credenze ancestrali e cosmogonie spirituali.
Il dilagare del fenomeno della corruzione nelle istituzioni pubbliche è interpretato come il permanere di una visione – distorta – del concetto di famiglia che in condizioni di scarsità di risorse pensa alla salvezza del gruppo e non conosce il concetto occidentale di bene comune.
L’albero piantato da papa Francesco vuole allora rappresentare, in piena sintonia con la cultura africana e la sua ecclesiologia, il “luogo dell’incontro”, dell’ascolto della Parola (“l’arbre à palabre”) dove il cristianesimo può orientare il processo di umanizzazione in termini di relazionalità, di fraternità e di condivisione così come Benedetto XVI dichiarava in Caritas in veritate.