Dialoghi di vita buona with card. Angelo Scola

Diocesi Milano

Dialoghi di vita buona a Milano. Scola: "Confronto tra uomini con diverse visioni del mondo"

Lunedì sera, al Piccolo Teatro, la prima serata sul tema migrazioni. Protagonisti: Massimo Cacciari, Paolo Magri e mons. Pierangelo Sequeri

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Si è tenuta lunedì sera, 24 novembre, al Piccolo Teatro Studio la prima serata dei Dialoghi di vita buona, dedicata al tema delle migrazioni come fenomeno strutturale, emergenza, condizione esistenziale, processo geopolitico. I protagonisti sono stati Massimo Cacciari, Paolo Magri e mons. Pierangelo Sequeri, che hanno esposto la propria tesi sulle migrazioni alla presenza del cardinale Angelo Scola e del direttore del Piccolo Teatro Sergio Escobar.

L’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, introducendo rivolgendo il proprio saluto ai presenti ha spiegato il significato dell’iniziativa dei “Dialoghi di vita buona”, dedicata al tema ‘Confini-Migrazioni’: “Uomini di diverse mondovisioni, appassionati del proprio tempo e di Milano si sono incontrati per confrontarsi, per lasciarsi narrare e narrarsi, in modo da raggiungere un riconoscimento possibile e da incontrare la nostra città, in questo tempo decisivo e di grande prova. Un’unità nata per raccordare i mille aspetti dello sviluppo di una metropoli dal carattere plurale. Un’unità fatta, quindi, di reciproca narrazione per trovare strade di vita buona a partire dal bene sociale del vivere insieme – ha poi concluso l’arcivescovo -. Viviamo questa serata senza nessun principio di autorità, nessuna appropriazione di tale gesto se non da parte di tale Comitato scientifico che se ne è assunta la responsabilità. Speriamo in un lavoro che si articoli, poi, su tutto il territorio almeno delle terre ambrosiane. È un contributo per avere e costruire il futuro”.

Il direttore del Piccolo Teatro Sergio Escobar ha spiegato: “Non si è trattata di semplice ospitalità, ma di una condivisione, perché il dialogo non è solo un urgenza, ma la capacità di produrre conoscenza, unico antidoto di fronte alla contrazione generata dalla tragicità dei fatti e dalla paura”. Ha poi proseguito dicendo che il teatro “da sempre è il luogo del dialogo, che crea conoscenza e responsabilità”. Parlando di Europa, ha concluso: “Manca la cultura dell’incontro e si pensa ancora di risolvere i fenomeni attraverso l’egoismo degli Stati e secondo il modello delle quote latte”.

Si sono poi susseguiti gli interventi dei relatori, che hanno parlano di confini e di migrazioni, di crisi. Per il filosofo Massimo Cacciari la crisi è soprattutto «crisi di concetto e di paradigmi, perché mancano i mezzi con cui affrontare la situazione, fin dalle stesse parole ed espressioni che usiamo». Poi si sofferma sul concetto di confine: «Un limen, che vuol dire soglia, “porta” da cui si entra e si esce, o limes che indica una barriera? Siamo obbligati a decidere se confine è limen o limes, soglia o barriera, luogo dove ci trinceriamo o deve arriva lo sguardo, la volontà e il desiderio».

Parlando poi di migrazioni aggiunge: “Le differenze nel mondo costringono a pensare a un lungo periodo in cui conosceremo imponenti fenomeni migratori, che occorre affrontare culturalmente, se vogliamo governarli, altrimenti diventeranno un vento impetuoso che travolgerà tutto – conclude Cacciari – Se non manteniamo le promesse fatte avverrà un processo di proletarizzazione di massa dei Paesi musulmani che sarà assai pericoloso. Le migrazioni sono l’evidenza di un modello in crisi. Non possiamo limitarci alle migrazioni con risposte di emergenza né affrontare il terrorismo con gli strumenti della guerra né migliorando condizioni sociali delle periferie che offrono humus al radicalismo. Lo sforzo è promuovere la cultura della differenza. Le differenze ci sono, anche abissali, ma questo non può rendere impossibile il dialogo: anche interreligioso e interculturale. Speriamo che ci sia un contraccolpo di coscienza da parte dell’Europa”.

Paolo Magri, direttore dell’ISPI affronta questioni concrete, reali: “I tremila scomparsi in mare di quest’anno e gli altrettanti del 2014, sono solo la punta dell’iceberg dei 23 mila morti degli ultimi quindici anni nel Mediterraneo e delle oltre migliaia che percorrono le piste del Sahara e che vengono seppelliti ai bordi del deserto. In Europa qualcosa è cambiato, ma in modo è stato confuso e litigioso, segno di un’Europa confusa e litigiosa, che prima ha negato il problema, poi ha pensato di sostituire Mare Nostrum con una nuova missione, infine, quando il flusso è arrivato nel centro Europa, in Austria e Germania, sembrando inarrestabile, ha iniziato a parlare di ridistribuzione e di quote”. Prosegue poi il direttore dell’Ispi: “Dovremmo litigare tra di noi per aver più immigrati, non meno immigrati. Basta guardare nelle corsie degli ospedali, nei nostri campi, negli stessi mercati. Tutto quello che vediamo è la punta dell’iceberg del bisogno di forza lavoro. Già oggi ci sono lavori che non vogliamo più fare nonostante la crisi e la congiuntura”.

Infine, parlando della Milano che tra gli anni 50 e 60 accolse i migranti, Magri ha concluso: “La Milano del futuro è quella che negli anni 60 seppe assorbire i migranti del sud Italia; in 5 anni abbiamo accolto un terzo della popolazione. La Milano degli anni 50 e 60 dimostra che si può trovare un modello di accoglienza”.

Mons. Pierangelo Sequeri, preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, ha iniziato la sua riflessione parlando del rapporto tra confini e migrazioni, che si muovono insieme: “Abbiamo bisogno di un’alleanza di fronte a un mutamento che ci chiede di ridefinire i confini tra un interiore che può diventare delirante e un esteriore che ci può salvare. Occorre una città che sappia che l’ospitalità può trasformarsi in una benedizione”. Una speranza, questo fides, e che va sostenuta da un foedus, da un ‘patto’ tra chi accoglie e chi è accolto. Prosegue il teologo: “Milano ha sempre accolto e integrato gli stranieri. L’arte romanica è nata dai barbari, lo stesso canto ambrosiano è il frutto di quell’incontro. Certo, occorre coltivare la fede che l’ospitalità possa trasformarsi in una benedizione. Questa fede ha bisogno che sia sostenuta da un foedus, un patto. Non diventarono migliori respingendo. Ospitalità non è subito cittadinanza, ma è qualcosa di intermedio che combatte l’estraneità2.

Infine, il dialogo tra i relatori e il pubblico, attraverso le domande arrivate sui social network, moderato da Gad Lerner che introduce così l’ultima parte della serata: “È evidente che la debolezza con cui affrontiamo il problema dell’immigrazione non emerge da differenze tra le popolazioni, tra i tedeschi apparentemente felici di accogliere o chi respinge nell’Est, ma nasce da poca consapevolezza. È l’Europa che non sa affrontare strategicamente la questione”.

I Dialoghi vogliono suscitare anche una vasta condivisione e partecipazione culturale. Il dibattito continua anche in rete attraverso il sito www.dialoghidivitabuona.it, l’account twitter @dialoghivb, la pagina Fecebook/Dialoghi di vita buona, il canale youtube.com/Dialoghi di vita buona e la mail partecipa@dialoghidivitabuona.it, alla quale possono essere inviate le domande da sottoporre ai relatori ospiti delle serate al Piccolo Teatro Studio Melato.

I prossimi appuntamenti avranno sempre come filo conduttore i “Confini” declinati attraverso altri temi: 2 marzo 2016, “Comune”; 23 maggio 2016, corpo.

 

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ZENIT Staff

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