“La Comunità ebraica non può rimanere indifferente davanti alle persecuzioni religiose che colpiscono oggi i cristiani in molte parti del mondo”. Lo afferma Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, in un editoriale pubblicato ieri su Il Foglio. “La storia ebraica – scrive il leader ebraico – è segnata sistematicamente da sofferenze e persecuzioni; sappiamo cosa significa soffrire perché si è portatori di una differenza religiosa; l’idea che ai nostri giorni qualcuno debba soffrire di limitazioni di libertà di culto, maltrattamenti, espulsioni, massacri per la sua differenza di credo è ripugnante. Non avremmo pensato, e ne siamo stupiti, che nel XXI secolo dovessimo apprendere di persecuzioni a danno di cristiani. La solidarietà e la simpatia con chi è perseguitato è per noi non soltanto doverosa, ma sincera e spontanea”.
In particolare il rabbino invita a riflettere su tre aspetti problematici. Il primo è la rimozione: “La persecuzione dei cristiani, in un paese cristiano come l’Italia, non è notizia che solleva attenzione, l’attenzione che merita”, afferma, “o forse sono i sistemi di informazione che non la mettono al centro dell’attenzione”. “È come se ci fosse – osserva Di Segni – sia per chi informa che per chi viene informato, una barriera geografica oltre la quale può succedere di tutto: un attentato, un massacro, uno stupro collettivo se avvengono in certe aree diventano notiziole che vanno e passano. Roba da paesi incivili, così si ragiona con un fondo mai spento di superiorità occidentale. Che ci vadano di mezzo dei cristiani o altri per la loro fede è questione di secondo conto”.
Il secondo aspetto, strettamente collegato al precedente, è “l’indifferenza”. Scrive il rabbino: “Si rimane perplessi dalla timidezza delle reazioni cristiane davanti all’entità degli orrori. Nell’esperienza della comunità ebraica, purtroppo vi sono stati tanti episodi recenti di intolleranza antisemitica; li abbiamo denunciati con forza e abbiamo ricevuto la solidarietà e la simpatia di molti. Per i cristiani perseguitati avremmo voluto dimostrare la nostra simpatia e solidarietà scendendo in piazza e manifestare, come molti hanno fatto per noi”. Ma “trovare qualcuno a cui esprimere solidarietà, per non parlare di una sponda organizzativa, è stata un’ardua impresa”.
Terzo aspetto è quindi quello della poca chiarezza nella denuncia. Per fare un esempio, Di Segni racconta che “non molti anni fa era stata organizzata una delle poche manifestazioni di solidarietà una sera a Roma in piazza SS. Apostoli e mi era parso doveroso essere presente. Ma me ne sono andato quando un oratore ha detto che ‘in Terra Santa i cristiani sono perseguitati0, senza dire in quale parte della Terra Santa questo avveniva e da parte di chi veniva la persecuzione. La prudenza, se così si può chiamare – sottolinea – proibisce di dire che si tratta di fanatici musulmani nei territori della Autorità palestinese e in tanti altri paesi vicini, e in molti casi purtroppo sono gli stessi cristiani perseguitati a preferire il persecutore a chi potrebbe garantirgli protezione e vita migliore. Quando poi non ci sono interessi politici e di affari che impediscono di citare i nomi dei paesi potenti dove l’intolleranza è legge”.
Allora “la solidarietà per i perseguitati – conclude il rabbino capo di Roma – è un dovere che non deve conoscere barriere, astuzie e riserve politiche”.