Guerre civili che sistematicamente si ripetono, rappresaglie che mietono numerose vittime, quasi 900 mila sfollati su 4 milioni e mezzo di abitanti. Mentre gli occhi del mondo sono ancora puntati su Parigi, violata una settimana fa da atroci attentati, si soffre e si muore in silenzio nella Repubblica Centrafricana, Paese che si appresta a visitare papa Francesco.
In questo luogo che rischia di soffocare a causa di violenze e ingiustizie, la presenza del Pontefice costituisce per i suoi abitanti “una ventata di speranza”. Lo afferma con voce sicura don Mauro Milani, dell’ordine dei Canonici Regolari Lateranensi, missionario in Centrafrica per 8 anni.
Tornato in Italia qualche settimana fa per via del termine dell’affidamento di questa missione ai Crl, ad ascoltarlo si capisce che nel Continente nero questo sacerdote veneto ha lasciato un pezzo di cuore. Insieme al suo confratello don Sandro Canton, si è occupato della parrocchia di Safa, nella diocesi di Mbaiki.
Da quelle parti è giunta solo l’eco delle guerre che flagellano la capitale Bangui (che dista un centinaio di chilometri). Ma tanto è bastato per rendere il clima teso e suscitare qualche focolaio di violenza. Don Mauro ricorda che nel gennaio 2014, all’indomani delle dimissioni del presidente Michel Djotodia, “un gruppo di giovani ha rubato le pecore a un colonnello vicino al Governo. Così quest’ultimo ha voluto vendicarsi bruciando una trentina di case del posto e uccidendo quattro persone”.
Gli effetti di questo episodio dalle sfumature arcadiche e ancestrali, “sono durati per almeno un mese”, prosegue don Mauro. Ricorda che anche gli abitanti di Safa sono dovuti sfollare verso la foresta e che in un’altra zona della diocesi, a Boda, nonostante fino a quel momento non vi fossero mai stati problemi inter-confessionali, “una comunità musulmana è rimasta asserragliata, protetta dalla presenza dei caschi blu dell’Onu…”.
Le sue parole sembrano confermare l’interpretazione che della guerra in Centrafrica danno i media italiani, ossia che abbia un’origine religiosa. Don Mauro ci tiene a precisare “che purtroppo è diventata una guerra di religione, perché attualmente il conflitto oppone i musulmani (i Seleka, il cui leader è Djotodia, ndr) a tutti coloro che non lo sono”. Come tuttavia accade spesso in questi casi, “si usa il pretesto religioso e tribale per rincorrere interessi politici, di potere, di controllo delle risorse…”.
È così che le milizie che si oppongono ai Seleka vengono chiamate “cristiane” dalla stampa, “anche se – afferma don Mauro – di cristiano hanno ben poco e la Chiesa si è sempre dissociata dalle loro violenze spesso gratuite”. Ma forse – riflette amaro – “questa manipolazione mediatica fa gli interessi di qualcuno”.
Quel qualcuno che desidera far sprofondare nel caos il Centrafrica, “per continuare a tenerne in mano le risorse”. Don Mauro si riferisce ad attori esterni. La mente corre alla Francia, presente in questo Paese con la missione militare Sangaris anche se l’epoca coloniale è ufficialmente finita nel 1960. Proprio il Ministero della Difesa francese, dieci giorni fa, ha informato i servizi di sicurezza del Papa che la sua visita in Centrafrica è ad alto rischio, cercando così di convincerli ad annullare il viaggio.
Don Mauro è persino del parere che il rinfocolarsi delle violenze, negli ultimi mesi, “possa esser stato provocato appositamente per dissuadere il Papa dal venire in Centrafrica”. Il missionario ha notato infatti “una certa passività dei caschi blu e dell’esercito francese dinanzi ai nuovi scontri scoppiati a settembre”.
Del resto, se il Papa visiterà il Centrafrica come da programma, “egli porterà alla ribalta – afferma don Mauro – la situazione grave di un Paese che altrimenti resterà nascosta alla gran parte dell’opinione pubblica mondiale”. E porterà alla ribalta – aggiunge – “la mancanza di responsabilità di Governo e forze internazionali, che da sempre tirano i fili di ogni stravolgimento politico in Centrafrica”.
Don Mauro riflette sulla prima immagine che si troverà davanti papa Francesco il 29 novembre, a ridosso dell’aeroporto di Bangui: “un’enorme tendopoli senza servizi”. È il biglietto da visita di un Paese – lo descrive don Mauro – “pieno di desolazione, privo di alcun segno di ripresa”.
Ma un primo segno potrebbe arrivare proprio dall’arrivo del Papa. Ne è convinto il popolo centrafricano. “Parlando con la gente, ascoltando la radio, si percepisce la grande attesa che c’è intorno a questa visita”, spiega don Mauro. Il missionario dei Crl spera che il Vescovo di Roma “possa andare in un campo profughi, che possa andare nella parrocchia di Notre Dame de Fatima, colpita nel maggio 2014 da un violento attacco armato, che possa anche visitare la moschea centrale di Bangui…”.
La speranza di don Mauro, insomma, è che l’autorità spirituale del Papa possa lenire le sofferenze del Centrafrica e denunciarne al mondo gli autori. Ciò che per lui è una speranza, per qualcuno è però una preoccupazione. Per questo – conclude – “in realtà non temono per la sicurezza del Papa, piuttosto non vogliono che egli tolga il velo su questa disastrosa situazione piena di complicità”.