Per affrontare il terrorismo occorre la massima unità della comunità internazionale e la mobilitazione di tutti i mezzi di sicurezza. Lo ha affermato in un’intervista al SIR, monsignor Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati.
Parlando delle stragi di Parigi, che hanno visto “commossi e sgomenti” tutti i rappresentanti della Santa Sede, il presule ha dichiarato: “Di fronte a queste atrocità, sempre intollerabili e mai giustificate, il mondo intero deve unirsi per salvaguardare la dignità della persona umana”.
Il presule ha poi commentato l’espressione di papa Francesco in merito alla “terza guerra mondiale a pezzi”, con cui si intende che “sono tante le parti coinvolte nei conflitti, sono tante le aree geografiche che soffrono le conseguenze della guerra, sono tante le culture e i Paesi che piangono i loro figli”.
Tale terza guerra mondiale ha il suo “campo di battaglia” in un “mondo globalizzato, dove perfino i conflitti locali e regionali hanno la capacità di estendersi con più forza e rapidità, provocando danni enormi a tutta la comunità mondiale”.
Un possibile “intervento all’estero”, ha proseguito monsignor Gallagher, deve cercare la legittimità attraverso il consenso della Comunità internazionale a norma del diritto internazionale”, tuttavia la risoluzione del problema non può essere affidata alla “sola risposta militare”. In ogni caso, la Comunità internazionale è legittimata a “mobilitare tutti i mezzi di sicurezza, per opporsi al terrorismo”.
Sebbene il metodo della Santa Sede sia sempre stato quello del “dialogo” e del “negoziato”, mai dello “scontro”, ha precisato Gallagher, ci si domanda come sia possibile “dialogare con chi non è sensibile al dialogo e rifiuta di conoscere l’umanità dell’altro”. Posta questa premessa, diventa “molto difficile” dialogare con chi ha “posizioni fondamentaliste”, poiché per entrarvi “in relazione”, è indispensabile “rispettare, anche minimamente, l’altro”.
In conclusione, il segretario vaticano per i rapporti con gli stati ha auspicato che i leader religiosi ebrei, cristiani e musulmani, continuino ad educare al “dialogo interreligioso e interculturale” e alla “reciproca comprensione”.
In particolare i leader musulmani, tuttavia, sono investiti di una “particolare responsabilità” nel “denunciare chiaramente la strumentalizzazione della religione per giustificare la violenza”.