I recenti attacchi di Parigi hanno finalmente suscitato, oltre ai vari commenti di solidarietà, un dibattito sull’intricata rete di alleanze e di interessi finanziari che fa da scudo alle azioni terroristiche dell’Isis. Nel corso del G20 di Antalya, in Turchia, il presidente russo Vladimir Putin si è espresso a tal proposito in maniera fin troppo chiara: “L’Isis è finanziato da 40 Paesi, in particolare da alcuni membri del G20”.
Ora però qualcosa potrebbe iniziare a cambiare. Durante il vertice è stato infatti stabilito, su iniziativa della Russia, di implementare una risoluzione Onu con lo scopo di impedire i finanziamenti al terrorismo, nonché di metter fine al contrabbando di oggetti artistici che i membri del Califfato hanno sottratto dai musei nei territori occupati.
Questa decisione potrebbe aver scosso qualche grattacielo delle avveniristiche città situate nel Golfo Persico. In quanto a sostegno nei confronti del terrorismo islamico, infatti, gli indiziati numero uno sono le monarchie di Arabia Saudita, Qatar e Kuwait. Ma non va sottovalutato il ruolo svolto dalla Turchia, Paese in cui si respira in questa fase un clima molto pesante: ieri in uno stadio di Istanbul, durante il minuto di silenzio osservato prima di una partita di calcio per commemorare le vittime della strage di Parigi, folti gruppi di tifosi turchi hanno dapprima fischiato e poi urlato “Allah akbar”.
Una sfida, quella lanciata al pudore comune da parte di alcuni tifosi turchi, che è non meno preoccupante degli ingenti finanziamenti a beneficio del Califfato. Un autorevole centro di studi americano come il Brooking Institution offriva già oltre un anno fa, nell’ottobre 2014, una dettagliata analisi dall’eloquente titolo Cutting off Isis Cash Flow (Tagliare la liquidità all’Isis).
Il centro studi riportava le dichiarazioni di David Cohen, sottosegretario per il Terrorismo e l’Intelligence finanziaria del Tesoro americano. A proposito dello Stato Islamico, egli diceva: “È l’organizzazione terroristica meglio finanziata che abbiamo combattuto” e “non c’è una pallottola d’argento o arma segreta per svuotare i forzieri dell’Isis in una notte”. Come a dire: la potenza finanziaria dei terroristi è tale da render dura la vita ai suoi avversari.
Secondo Cohen, è il petrolio la prima fonte di guadagno del Califfato. L’esponente del Tesoro americano stimava che l’oro nero consente all’Isis un introito quotidiano di un milione di dollari. L’imponente cifra si deve al controllo da parte dei jihadisti di importanti raffinerie, sottratte alla sovranità di Siria e Iraq, che riescono a produrre fino a 40mila barili al giorno. E in cima alla lista delle esportazioni, si trova appunto la Turchia.
Il commercio di petrolio è tuttavia in flessione a causa del calo del prezzo del greggio. Ma i ricavi per l’Isis giungono anche da altri settori: i rapimenti (che solo nel primo anno di vita del Califfano hanno fruttato tra i 20 e i 45 milioni di dollari), il contrabbando di opere d’arte (circa 10 milioni di dollari) e i furti e le estorsioni (5-6 milioni di dollari).
Ciò che rende stabile l’arricchimento dell’Isis è poi la presenza di “benefattori” del Golfo Persico. Il Brooking Institution non riesce nemmeno a quantificare una stima precisa dell’enorme flusso di denaro che ricchi uomini con turbante e tunica bianca fanno convogliare verso il Califfato. David Cohen ha chiarito che alcuni Paesi del Golfo hanno messo in piedi norme più restrittive sul controllo di capitali sospetti.
Ciò nonostante, il direttore del Programma su antiterrorismo e intelligence del Washington Institute fo Near Policy, Matthew Levitt, ha stimato che nel biennio 2013/14 l’Isis abbia ottenuto più di 40 milioni di dollari in finanziamenti provenienti dal Golfo Persico, soprattutto da Arabia Saudita, Qatar e Kuwait.
A questo punto – commenta il Brooking Institution – non è chiaro se la nuova legislazione di questi Paesi finalizzata a contrastare il finanziamento del terrorismo sia davvero efficace. “In ogni caso – prosegue l’analisi – resta evidente che deve essere fatto di più soprattutto da parte di Qatar e Kuwait affinché siano rispettate queste leggi”.
Il Financial Action Task Force, organizzazione intergovernativa impegnata nell’anti-riciclaggio, ha preparato in occasione del G20 di Antalya un dossier il quale conferma che queste misure risultano spesso insufficienti o parziali. In particolare il Fatf accusa gli Stati di essere troppo lenti nell’adottare misure restrittive contro i gruppi inseriti nelle liste dei terroristi. Si tratta di un favore ai fiancheggiatori dei seminatori d’odio, i quali hanno così tutto il tempo di fornire le loro sovvenzioni in danaro.
In attesa che le misure adottate diano i risultati sperati, l’Isis continua a guadagnare. Recentemente Abu Saad Al Ansari, un religioso di Mosul, ha dichiarato al quotidiano del Qatar Al Arabi, che il Califfato prevede per il 2015 entrate “per oltre 2 miliardi di dollari, con un avanzo netto di circa 250 milioni, destinato a sostenere lo sforzo bellico”.