Migliaia di vite appese ad un filo. Negli ultimi due mesi nella regione di Mundri in Sud Sudan almeno 80mila persone sono dovute fuggire a causa delle violenze e sono state costrette a rifugiarsi nella boscaglia.
“Mentre parliamo decine di persone continuano a morire, soprattutto anziani e bambini”, riferisce ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre David Kulandai Samy, missionario della comunità di Maria Immacolata, notando come molti degli sfollati muoiano di fame o a causa di numerose malattie, prima fra tutte la malaria.
I leader religiosi sud sudanesi, guidati dal vescovo di Tombura-Yambio, monsignor Edward Hiiboro Kussala, hanno lanciato un appello per la sospensione immediata delle operazioni militari nell’area, così da poter fornire adeguata assistenza agli sfollati e alle famiglie che vivono nei villaggi.
Padre David si è rivolto ad ACS per ricevere sostegno e poter così aiutare la popolazione in difficoltà. “Molti dei nostri parrocchiani si sono nascosti nella boscaglia e ora vivono in condizioni terribili, specie i bambini che non hanno cibo, né acqua, né assistenza medica”, ha detto il missionario.
La popolazione è stata privata di tutto: i raccolti sono stati distrutti, le case saccheggiate, il bestiame rubato. Senza contare l’incessante protrarsi delle violenze. A quattro anni e mezzo dall’indipendenza – ottenuta 9 luglio 2011 in seguito ad un referendum popolare – il Sud Sudan affronta un terribile conflitto etnico che vede le forze governative del presidente Kiir, di etnia dinka, contrapporsi a quelle fedeli all’ex vicepresidente Machar, di etnia nuer. Lo scontro, iniziato nel dicembre 2013, ha costretto oltre 2 milioni di cittadini ad abbandonare le proprie case.
Padre David riferisce dell’uccisione di 9 guerriglieri della tribù Dinka, avvenuta lo scorso settembre nella regione di Mundri. Le truppe governative hanno allora occupato l’area e aperto il fuoco contro gli appartenenti alla tribù moru, i quali a loro volta si sono vendicati attaccando membri della tribù dinka. A causa degli scontri etnici, numerose famiglie cattoliche hanno abbandonato le proprie case e si sono rifugiate nei locali appartenenti alla Chiesa. Ma quando anche questi sono stati colpiti e decine di persone sono state uccise, i fedeli hanno cercato riparo nella boscaglia. Lo stesso sacerdote è dovuto fuggire per salvare la sua vita.
“Ritorneremo non appena la situazione tornerà alla normalità e lavoreremo per ricongiungere le famiglie cattoliche e le altre comunità tribali disperse nell’area. Vi chiediamo di sostenerci e di pregare per noi e per la nostra comunità che attraversa un momento drammatico e patisce sofferenze indescrivibili”, conclude padre David.