La sentenza della Consulta, che ha stabilito l’illegittimità costituzionale dell’articolo della legge 40/2004 sulla fecondazione artificiale che vieta la selezione degli embrioni, apre le porte ad una vera e propria selezione della razza umana. Non sarà più reato, infatti, ricorrere alla selezione degli embrioni, cioè decidere quali esseri umani hanno diritto a vivere, perché sani e quali devono essere soppressi perché ‘difettosi’. I Giudici della Consulta hanno con pronuncia additiva di fatto eliminato la penale rilevanza della selezione eugenetica e della soppressione degli embrioni affetti da patologie genetiche. Il reato era previsto all’art. 13 (commi 3 lett B e comma 4) della L. 40/2004.
La decisione non è esente da vizi giuridici e contiene talune opinabili affermazioni di merito e non di mera legittimità. La norma riformata, ad avviso della Corte, violerebbe gli art. 3 (principio di uguaglianza) e 32 (diritto alla salute) della nostra Costituzione.
Il riferimento al diritto di uguaglianza, in particolare, si rileva quasi incomprensibile se si pensa che in caso di concepimento naturale una simile generalizzata ‘selezione’ preventiva non è neppure immaginabile; peraltro se ci si riferisce alle ipotesi di aborto consentite non bisogna dimenticare che, in tal caso, la legge consente una scelta individuale mentre la norma in questione – così come modificata – liberalizza, si ripete, tecniche di selezione preventiva degli embrioni lasciando ogni potere di scelta ai medici e non alle libere coscienze dei singoli.
Peraltro, per rafforzare una decisione quantomeno discutibile, la Corte fa riferimento a un non meglio specificato “diritto al rispetto della vita privata e familiare” che includerebbe il diritto della coppia “a generare un figlio non affetto da malattia genetica”.
Un simile diritto non solo non esiste nel nostro ordinamento ma peraltro contrasterebbe con l’art. 13 della Costituzione che stabilisce l’inviolabilità della libertà personale intesa anche come libertà di scelta. È infatti noto che molte famiglie pongono la vita al di sopra di ogni altro valore accogliendo nelle loro famiglie figli affetti da malattie: tale libertà non può essere superata da una scelta ‘normativa’ che esclude a monte una simile facoltà lasciando ogni decisione in capo ai medici.
Scegliere di impiantare nelle donne un embrione piuttosto che un altro, cioè stabilire una distinzione tra esseri umani di serie A sani e di serie B malati, dunque da ‘scartare’, rappresenta un passo gravissimo di selezione eugenetica di stampo squisitamente ideologico, oltre che una palese violazione dei diritti umani, primo tra tutti quello alla vita, la cui tutela non dipende dalle condizioni di salute del soggetto, ma dal suo stesso esistere come essere umano.