Fidarsi: come don Guanella che ha avuto sempre “la certezza che Dio è Padre misericordioso e provvidente”. Poi guardare: il mondo con occhi nuovi di amore speranza, e il prossimo come fratello o sorella da accogliere. Infine, affrettarsi: nel servizio ai poveri e agli ultimi che, diceva san Luigi, sono “i figli prediletti di Dio”.
È scandito da questi tre imperativi il discorso che Papa Francesco rivolge oggi ai partecipanti al pellegrinaggio della Famiglia Guanelliana, ricevuti in mattinata in Aula Paolo VI, in un’udienza scandita da canti, preghiere e dichiarazioni d’affetto che i ‘buoni Figli’ (ovvero i malati assistiti dall’Opera) hanno indirizzato al Pontefice. Il quale avvia l’incontro con una nota mariana, ricordando che la Famiglia Guanelliana festeggia oggi una “solennità importante”: la Madre della Divina Provvidenza, patrona e soprattutto “Madre di famiglia”, su desiderio del Santo.
Proprio sulla luminosa figura del fondatore, di cui ricorre quest’anno il primo centenario della morte, si concentra l’attenzione del Santo Padre. Francesco se ne fa portavoce: “Vorrei provare a immaginare che cosa lui potrebbe dirvi per confermarvi nella fede, nella speranza e nella carità”, dice. “Certamente lo farebbe con la sua semplicità schietta e genuina; e allora ho pensato a tre verbi concreti: fidarsi, guardare e affrettarsi”.
Fidarsi. Perché – spiega il Papa – “il cuore della fede” di San Luigi era “sapersi figlio sempre amato, di cui il Padre si prende cura, e quindi fratello di tutti, chiamato a infondere fiducia”. “San Luigi ha tanto creduto in questo amore concreto e provvidente del Padre, da avere spesso il coraggio di superare i limiti della prudenza umana, pur di mettere in pratica il Vangelo”. Per lui la Provvidenza non era una “poesia”, ma la “realtà”.
La realtà, cioè, che “Dio è padre e non riesce a non amarci”, sottolinea il Pontefice; “nemmeno è capace di stare lontano dai suoi figli. Se siamo distanti da Lui, veniamo attesi; quando ci avviciniamo, siamo abbracciati; se cadiamo, ci rialza; se siamo pentiti, ci perdona. E desidera sempre venirci incontro”.
Il Padre celeste è “molto dispiaciuto”, aggiunge Papa Francesco, quando “vede che i suoi figli non si fidano pienamente di Lui: credono forse a un Dio lontano, più che nel Padre misericordioso”. In tanti può anche sorgere il dubbio che “Dio, pur essendo Padre, sia anche padrone”, e allora “sembra meglio non affidarsi a Lui fino in fondo, perché potrebbe chiedere qualcosa di troppo impegnativo o persino mandare qualche prova”.
“Ma questo è un grande inganno”, afferma: è “l’inganno antico del nemico di Dio e dell’uomo”, che “camuffa la realtà e traveste il bene da male”. E ci porta a cadere in questa tentazione di “prendere le distanze da Dio, intimoriti dal sospetto che la sua paternità non sia davvero provvidente e buona”. Egli, invece, “ci ama più di quanto amiamo noi stessi”, “sa qual è il nostro vero bene” e desidera che nella vita diventiamo “figli amati”, in grado “di vincere la paura e di non cadere nel lamento, perché il Padre ha cura di noi. Siete convinti di questo?”, domanda il Santo Padre.
Si sofferma poi sul secondo verbo: guardare. “Il Padre creatore – spiega – suscita anche la creatività in coloro che vivono come suoi figli”. Allora essi “imparano a guardare il mondo con occhi nuovi”, occhi “luminosi” che “permettono di guardarsi dentro con verità e di vedere lontano nella carità”. Con questi stessi occhi, il Papa guarda ai problemi che oggi non mancano nel mondo che “conosce purtroppo nuove povertà e tante ingiustizie”. “La più grande “carestia è quella della carità”, dice, sottolineando che c’è bisogno di “persone con occhi rinnovati dall’amore” e di “sguardi che infondano speranza”.
Purtroppo a volte, osserva Francesco, “la nostra vista spirituale è miope” perché “non riusciamo a guardare al di là del nostro io”. Altre volte “siamo presbiti”, nel senso che “ci piace aiutare chi è lontano, ma non siamo capaci di chinarci verso chi vive accanto a noi”. Altre volte ancora, “preferiamo chiudere gli occhi, perché siamo stanchi, sopraffatti dal pessimismo”.
Non per nulla don Guanella “raccomandava di guardare Gesù a partire dal suo cuore” e invitava “ad avere lo stesso sguardo del Signore”: uno sguardo che infonde “speranza e gioia”, e che al contempo è capace di provare un “vivo senso di compatimento” verso chi soffre.
Bisogna quindi affrettarsi – questo è il terzo verbo – perché, spiega il Papa, “non possiamo far attendere i fratelli e le sorelle in difficoltà”. “La miseria non può aspettare”, aggiunge citando San Luigi, “e noi non possiamo fermarci fino a quando ci sono poveri da soccorrere!”. Inoltre, “un cuore cristiano che crede e che sente non può passare davanti alle indigenze del povero senza soccorrervi”.