Allo stadio “Artemio Franchi” di Firenze, dove di solito le tribune sono gremite per assistere alle partite di calcio, quest’oggi il calore del folto pubblico (40mila persone) è tutto per papa Francesco, che dal centro dell’impianto pronuncia l’omelia in occasione della Santa Messa.
È proprio la natura spiccatamente popolare del luogo che fornisce al Vescovo di Roma lo spunto per spedire l’ennesimo appello ai pastori affinché siano vicini alla gente. Egli parla anzitutto della prima delle due domande che nel Vangelo di oggi pone Gesù ai suoi discepoli: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”.
Domanda che svela l’apertura di Gesù verso tutti. “A Gesù – dice il Papa – interessa quello che la gente pensa non per accontentarla, ma per poter comunicare con essa”. Al contrario, se il discepolo non ha interesse a sapere ciò che la gente pensa, “si isola e inizia a giudicare la gente secondo i propri pensieri e le proprie convinzioni”.
Al fine di evitare questo isolamento, l’incoraggiamento del Pontefice è a “mantenere un sano contatto con la realtà”, toccando l’esperienza quotidiana del popolo: “il lavoro, la famiglia, i problemi di salute, il traffico, la scuola, i servizi sanitari…”. Perché “i discepoli di Gesù non devono mai dimenticare” che “sono stati scelti tra la gente”. E – aggiunge – “il fatto che oggi ci siamo radunati a celebrare la Santa Messa in uno stadio sportivo ce lo ricorda”.
In tal senso Papa Bergoglio ha citato l’esempio di un suo lontano predecessore, il santo Papa Leone Magno, di cui oggi ricorre la festa. Questo Pontefice del V secolo “portava nel suo cuore” una “ansia apostolica che tutti potessero conoscere Gesù, e conoscerLo per quello che è veramente, non una sua immagine distorta dalle filosofie e dalle ideologie del tempo”. Di qui la necessità di “una fede personale in Lui”.
Necessità che fa da incipit alla seconda domanda che Gesù pone ai discepoli: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Si tratta – la riflessione di Francesco – di un quesito “decisivo per la nostra identità e la nostra missione”. Perché “saremo in grado di guardare la verità della nostra condizione umana, e potremo portare il nostro contributo alla piena umanizzazione della società”, soltanto – spiega il Santo Padre – “se riconosciamo Gesù nella Sua verità”.
Qui si inserisce la risposta che dà Simone: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, al quale racchiude “tutta la missione di Pietro”, che consiste nel “custodire e proclamare la verità della fede; difendere e promuovere la comunione tra tutte le Chiese; conservare la disciplina della Chiesa”.
E sull’esempio del “modello esemplare” di papa Leone nei suoi “luminosi insegnamenti” e nei suoi “gesti pieni della mitezza”, il Santo Padre invita a “rispondere insieme al Signore Gesù” con le stesse parole di Simone.
Parole dettate dalla gioia. “La nostra gioia è anche di andare controcorrente e di superare l’opinione corrente, che, come allora, non riesce a vedere in Gesù più che un profeta o un maestro – aggiunge il Papa -. La nostra gioia è riconoscere in Lui la presenza di Dio, l’inviato del Padre, il Figlio venuto a farsi strumento di salvezza per l’umanità”.
Francesco pone quindi l’accento sulla “volontà di un Dio misericordioso”, che si è fatto uomo “per incontrare ogni persona nella sua condizione concreta”. Ed è in “questo amore misericordioso di Dio” che Simon Pietro riconosce il volto di Gesù. Quello stesso volto – prosegue il Pontefice – “che noi siamo chiamati a riconoscere nelle forme in cui il Signore ci ha assicurato la sua presenza in mezzo a noi: nella sua Parola, che illumina le oscurità della nostra mente e del nostro cuore; nei suoi Sacramenti, che ci rigenerano a vita nuova da ogni nostra morte; nella comunione fraterna, che lo Spirito Santo genera tra i suoi discepoli; nell’amore senza confini, che si fa servizio generoso e premuroso verso tutti; nel povero, che ci ricorda come Gesù abbia voluto che la sua suprema rivelazione di sé e del Padre avesse l’immagine dell’umiliato crocifisso”.
Papa Francesco sottolinea che “questa verità della fede è verità che scandalizza, perché chiede di credere in Gesù, il quale, pur essendo Dio, si è svuotato, si è abbassato alla condizione di servo, fino alla morte di croce, e per questo Dio lo ha fatto Signore dell’universo”. Tuttavia, aggiunge ancora il Papa, “la comunione tra divino e umano, realizzata pienamente in Gesù, è la nostra meta, il punto d’arrivo della storia umana secondo il disegno del Padre. È la beatitudine dell’incontro tra la nostra debolezza e la Sua grandezza, tra la nostra piccolezza e la Sua misericordia che colmerà ogni nostro limite”.
Una meta che – ricorda il Papa – “si inizia a pregustare e a vivere qui e si costruisce giorno dopo giorno con ogni bene che seminiamo attorno a noi”. E questi semi “contribuiscono a creare un’umanità nuova, rinnovata, dove nessuno è lasciato ai margini o scartato; dove chi serve è il più grande; dove i piccoli e i poveri sono accolti e aiutati”.
Infine Francesco spiega che “Dio e l’uomo non sono i due estremi di una opposizione: essi si cercano da sempre, perché Dio riconosce nell’uomo la propria immagine e l’uomo si riconosce solo guardando Dio”. Questo riconoscere Dio da parte dell’uomo è “la vera sapienza” ed è “la strada su cui incrociamo l’umanità e possiamo incontrarla con lo spirito del buon samaritano. Non per nulla l’umanesimo, di cui Firenze è stata testimone nei suoi momenti più creativi, ha avuto sempre il volto della carità. Che questa eredità sia feconda di un nuovo umanesimo per questa città e per l’Italia intera”.