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Tre virtù per uscire dalla crisi

Una riflessione in vista del quinto Convegno Nazionale della Chiesa Italiana

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Si apre domani a Firenze il 5° Convegno Nazionale della Chiesa Italiana sul tema: In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Al di là della formula dotta, che richiama la grande stagione culturale dell’umanesimo fiorentino, la riflessione cui essa invita intende toccare le sfide dell’Italia reale e il possibile contributo che la presenza ecclesiale può offrire nell’affrontarle. Di fronte a un inizio di ripresa dell’economia, con qualche segnale positivo anche sul fronte dell’occupazione, che suscita attese e speranze diffuse nelle famiglie e in quanti sono alla ricerca di un lavoro, il tema potrebbe tradursi nella domanda su quali atteggiamenti sia necessario assumere tanto nella vita personale, quanto in quella collettiva, perché quanto di positivo è iniziato possa consolidarsi e svilupparsi, affinché il futuro che si prepara sia migliore per tutti. Provo a rispondere all’interrogativo dal punto di vista di chi come pastore sta accanto alla gente e ne avverte gioie e dolori, attese e speranze. In questa luce mi sembra di poter indicare tre comportamenti virtuosi, oggi particolarmente necessari in vista della crescita del Paese, aspetti di un umanesimo modellato sul messaggio centrale dell’incarnazione del Figlio di Dio per amore nostro: la fiducia, la concretezza e una coraggiosa progettualità.

Al primo posto vedo necessaria la fiducia: stiamo uscendo dalla crisi che ha investito l’intero Occidente, prodotta dagli inganni di una finanza che aveva clamorosamente tradito la fiducia di quanti avevano puntato su di essa per far fruttare i loro risparmi. Ritrovare un atteggiamento di fiducia, che incoraggi gli investimenti e dia le ali ai segnali di ripresa, non è certo facile né immediato: chi è stato scottato ed ha pagato il prezzo del tradimento, perdendo capitali più o meno consistenti, frutto spesso del risparmio di una vita, non rimetterà in gioco a cuor leggero quanto è riuscito a salvare dalla crisi. È però indubitabile che senza un ritrovato e diffuso atteggiamento di fiducia il Paese non potrà ripartire: se gli inviti della politica a esorcizzare i vari “gufi” di turno possono a volte suonare come scontati, bisogna anche riconoscere che senza rischio nessuna novità positiva potrà farsi strada nella vita dei singoli e della collettività. Rischiare esige fiducia, e l’incoraggiamento a fidarsi non potrà che venire da comportamenti virtuosi e da una lotta senza quartiere alla corruzione e all’evasione fiscale, due tarli che rodono il bene comune e inquinano le possibilità di crescita di ciascuno e di tutti. L’insistenza con cui Papa Francesco condanna questi mali, specialmente quello pervasivo della corruzione, è un segnale offerto a tutti per interventi preventivi e repressivi, oltre che per una più generale opera di educazione all’onestà, come premessa di vita sana e retta per l’intera società. Da Firenze è giusto attendersi questa carica nuova di fiducia, fondata sul modello di un Dio che, facendosi uomo, ha scommesso sull’uomo e ha dimostrato di avere fiducia in lui più di quanto egli ne avesse in se stesso.

La crescita della fiducia è direttamente connessa alla concretezza delle realizzazioni: più si opererà in maniera diretta ed efficace, più si daranno segnali concreti di opere intraprese e compiute, più il clima generale della vita sociale potrà migliorare e l’invito a fidarsi potrà tradursi in scelte ed azioni incisive. Se in ogni ambito appare urgente questa concretezza, assolutamente prioritaria essa risulta nel campo delle opere pubbliche: il Paese è stanco di proclami o dissertazioni sui massimi sistemi, che durano da decenni (vedi il “caso serio” del ponte sullo stretto di Messina…). Dalle amministrazioni locali, che vivono crisi perfino vistose com’è nella situazione preoccupante di Roma capitale, a quelle provinciali e soprattutto regionali, occorre che si mettano in atto politiche operose e capaci di attuare in tempi rapidi e con modalità affidabili quanto risulta necessario alla vita dei cittadini. Una politica della casa tesa a favorire le fasce più deboli, l’efficienza nei trasporti pubblici, un miglioramento dei servizi nel campo della salute e dei diritti sociali, coraggiosi investimenti per migliorare l’efficienza della scuola e dell’università, come per potenziare o creare strutture sportive e aggregative in generale, sono altrettanti ambiti in cui la concretezza delle opere da fare si impone con urgenza ineludibile. Promesse non mantenute e manovre di imbonimento sono ormai facilmente individuabili e smascherabili: la crisi di fiducia nella politica è nata anche da questo. Urge una nuova classe di politici che – finalmente libera da inganni ideologici – dia prova di affidabilità ai cittadini che pretende di rappresentare. Il tempo post-ideologico in cui si dice che siamo entrati vuol dire anche e forse soprattutto questo bisogno di fatti e di opere, che sostituiscano lo sciupio delle parole e dei progetti velleitari. L’Italia ha bisogno di segni di credibilità nel comportamento pubblico, specialmente in politica, che passino attraverso realizzazioni concrete e verificabili da tutti. Dal Convegno di Firenze non potrà non venire un appello in tal senso.

Infine, alla fiducia e alla concretezza operativa occorre unire una grande e perfino audace progettualità: non si tratta di favorire una fiera dei sogni o un mercato delle promesse destinate a restare tali. Occorre serietà, studio, applicazione intelligente e volenterosa, per scrutare l’orizzonte, intuire i campi dell’innovazione e intervenire in essi con progetti ben costruiti e tali da rispondere efficacemente alle esigenze della collettività. Occorrono idee e persone capaci di pensare in grande, mantenendo i piedi a terra, ben radicati nelle urgenze vere e nelle possibilità effettive. I grandi che hanno operato la ricostruzione postbellica – da De Gasperi a Schuman e Adenauer – hanno saputo operare così, con progetti audaci, ma necessari e possibili, agendo con sobrietà, giustizia, fede e spirito di sacrificio. Gli stili di vita credibili dei protagonisti chiamati a mettere in atto le progettualità sono, dunque, non meno necessari delle teste pensanti che sappiano leggere i bisogni e individuare le strategie e i progetti per venire incontro ad essi in vista del bene di tutti. Laboratori di idee non velleitarie e non strumentali al semplice consenso sono qui urgenti, e vorremmo vederne di più nel grande campo del pre-politico e del sociale. Ognuno deve fare la sua parte, i credenti come e più degli altri, in quanto il riferimento al Dio padre di tutti li impegna in prima linea nel servizio alla crescita comune. Anche fra loro vorremmo vedere più impegno e passione, e l’augurio più autentico per il Convegno Nazionale della Chiesa italiana che inizia domani a Firenze è che sia tanto fucina di idee nuove, quanto campo di contagio positivo per uomini e donne che vogliano rinnovare l’Italia alla luce del progetto di uomo offerto al mondo in Gesù Cristo. In Lui, come dice il tema del Convegno, ci è dato un “nuovo umanesimo”: ispirare ad esso le nostre esistenze e tradurlo in atto al servizio di tutti è il frutto che vorremmo sperare dai lavori fiorentini.

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Fonte: Il Sole 24 Ore, Domenica 8 Novembre 2015, pp. 1 e 14

 

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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