“Siamo davvero all’altezza della nostra città di Roma?”. Da questa domanda di fondo si sviluppa la riflessione che il cardinale vicario Agostino Vallini mette nero su bianco nella sua Lettera alla Città, presentata ieri sera in San Giovanni in Laterano. Una missiva ai cittadini dell’Urbe in vista del Giubileo straordinario della Misericordia ormai alle porte e in coincidenza con il maxi processo per ‘Mafia Capitale’ iniziato ieri; o forse un addio prima della conclusione del suo mandato, anch’essa imminente, come affermano alcune voci di corridoio.
Al di là di questo, interesse del cardinale è di sollecitare la Chiesa e i cristiani, in questo momento di “luci e ombre”, ad impegnarsi in “una nuova stagione di rinnovamento spirituale, di evangelizzazione, di responsabilità culturale e di impegno sociale, sostenuti dalla forza della fede, per raggiungere le periferie geografiche ed esistenziali” di questa Roma sempre più decadente.
La Capitale vive oggi un momento di “transizione e crisi”, osserva infatti il cardinale. “Corruzione, impoverimento urbanistico, crisi economica” creano “affanni” ad una città che vede crescere sempre di più al suo interno vecchie e nuove povertà, tensioni sociali, flussi migratori. Senza dimenticare la disoccupazione, specie quella giovanile, l’aumento dei costi strutturali come trasporti e mobilità, il costo degli affitti. Un livello che “appare del tutto insostenibile”, dice Vallini, osservando che “la crisi ha alimentato le disuguaglianze, accentuato le differenze tra i quartieri centrali e le periferie, allargato la fascia dei poveri e degli ‘invisibili’”. Il ceto medio ne è uscito “indebolito”, si sono alzati “steccati” e si è andato perdendo quel “patto generazionale” tra adulti e giovani, “che spesso soffrono retribuzioni ingiuste”. Davanti a tutto questo, “i cittadini sperimentano la “sfiducia nelle istituzioni civili e la perdita del senso di appartenenza sociale”.
Roma “ha urgente bisogno di un supplemento di anima per essere all’altezza della sua vocazione e delle nostre attese di speranza”, afferma il cardinale vicario. Perché il malessere è purtroppo diffuso e “si respira nell’aria”. “La stessa gestione ordinaria del territorio, come ad esempio la manutenzione delle strade, la cura dell’illuminazione, le procedure di raccolta e smaltimento dei rifiuti, hanno assunto, in diversi quartieri, aspetti di un degrado urbano complessivo da cui, talvolta, sembra difficile liberarsi. A tutto ciò si sono aggiunti acuti problemi di sicurezza e l’incremento di atti di violenza”.
Cosa fare allora? “Più che accusare o condannare le istituzioni civili o la società nel suo insieme, come troppo spesso superficialmente avviene desideriamo condividere gli affanni della nostra città”, tutti dobbiamo “fare la nostra parte, essere compagni di strada di tutti gli uomini di buona volontà, e dire a tutti, concittadini e istituzioni di Roma, di non perdersi d’animo dinanzi alle sfide che abbiamo davanti”, esorta il porporato.
Dal punto di vista politico, rileva poi, “persone di valore non hanno la forza di esprimere la propria vocazione al servizio del bene comune e di incidere beneficamente sulla società, mentre altri per brama di potere e desiderio smodato di arricchimento occupano posti nella direzione e gestione delle istituzioni senza le doti, la motivazione e la competenza necessarie per promuovere programmi e politiche di equità sociale a favore di tutti i cittadini”. Ne derivano nella vita della città “vistosi squilibri tra chi è garantito in posizioni di sicurezza e tranquillità” e quanti, “deboli, meno provveduti o meno capaci, sono condannati ad una vita difficile, pesante, se non addirittura ad essere esclusi”.
Quanto mai necessario appare quindi “avviare il cantiere per costruire adeguati cammini di formazione pre-politica aperti a tutti, e particolarmente alle migliori energie giovanili, per rimotivare innanzitutto i credenti all’impegno politico come servizio verso la società ed esercizio supremo della carità sociale”. Ancora più “urgente”, scrive Vallini, è “riattivare le politiche dal basso, quelle sussidiarie, che permettono ai cittadini di ritrovarsi e elaborare soluzioni condivise intorno a temi e problemi concreti del loro territorio”.
Tra questi il vicario di Roma individua l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati. “Tutti” devono essere aiutati, insieme alle loro famiglie, “ad integrarsi con strategie efficaci e condivise”. In particolare, la comunità cristiana dovrebbe organizzare “eventi comuni contro la violenza e contro le stragi commesse in nome di Dio” ed essere sempre pronta “a promuovere la cultura dell’incontro” e lottare contro “ogni forma di sfruttamento prodotto dalla «cultura dello scarto»”. Che sia quello economico degli studenti fuori sede, quello degli stranieri o della prostituzione.
Un’ulteriore sfida è l’educazione, afferma il cardinale, specie nell’era di Internet dove il rischio è di “un determinismo tecnologico per cui si spostano verso la ‘rete’ compiti che sono propri dei soggetti educativi, come ad esempio quelli di promuovere alla libertà e alla democrazia”. Inoltre negli ultimi trent’anni, i media, soprattutto le tv, hanno “proposto immaginari sociali e modelli di vita spesso irreali, suscitando aspettative di successo e di benessere, e non di rado legittimando nell’opinione comune l’uso di mezzi moralmente censurabili per raggiungere tali obiettivi”.
I reflussi di questa impostazione rischiano di “emarginare l’educazione al pensiero critico a favore di una mitologia dello sviluppo economico”. E non si può “insegnare alle nuove generazioni che l’unica cosa che conta è la crescita della quantità di denaro”. Bisogna contrapporre a tutto questo “una cultura di spessore”, esorta il porporato, in modo da “tutelare e includere gli alunni fragili e in difficoltà, promuovere il senso etico e civico, educare alla legalità, al rispetto reciproco e all’accoglienza di ciascuno”.
L’occhio del cardinale si sposta poi sulla figura della donna, la cui immagine è spesso degradata con “una volgarità invadente”, con comportamenti “violenti e di prevaricazione”, facendo “scempio della conflittualità familiare e della coppia”. Anche in questo caso c’è un’urgenza, quella di “ricostruire una cultura collettiva più umana e più vera. Più attraente”. Anche questo è compito dei media, nella cui “agorà” la Chiesa intende essere presente “offrendo la sua voce ed il suo punto di vista”.
A proposito di Chiesa, il porporato assicura la volontà della Chiesa di Roma di “fermarsi, inginocchiarsi e offrire il proprio aiuto davanti alle sofferenze degli uomini”. “Non abbiamo smania di protagonismo o di visibilità politica”, sottolinea, ma “desideriamo con tutto il cuore contribuire alla rinascita della nostra città, per un motivo semplice: la città è la nostra casa comune”, lo spazio “che noi sviluppiamo e condividiamo la nostra umanità e fraternità”. Quindi “con speranza ed entusiasmo”, “fiduciosi nel cambiamento auspicato da tutti”, vogliamo costruire una “città più giusta e più solidale”.
La lettera è dunque più di “un appello”, afferma il suo autore: è “una promessa” di un’azione concreta in questo Anno Santo della Misericordia “affinché Roma diventi sempre più abitabile e felice e tutti possiamo ‘sentirci a casa’ all’interno della città che ci contiene e ci unisce”.