“Chi spera nel Signore non resta deluso”. Con queste parole tratte dal Salmo 24, l’arcivescovo mons. Cesare Nosiglia ha introdotto la sua omelia al Cimitero Monumentale di Torino. “Il nostro Dio non è il Dio dei morti ma dei viventi”. Egli ci ha amato donando la sua vita per noi e continua ad amarci assicurandoci che dove è lui nella gloria del Padre suo, saremo anche noi suoi amici e discepoli.
“Questa è la speranza – ha osservato Mons. Nosiglia – che deve diradare ogni dubbio che pure a volte alberga dentro di noi circa la sorte dei nostri cari dopo la morte: se Cristo non fosse risorto noi saremo i più illusi di tutti gli uomini e vana sarebbe la nostra preghiera e la nostra fede, e nulla la nostra speranza. Ma se Cristo è risorto, come noi crediamo fermamente, allora anche noi risorgeremo e saremo sempre con lui dove i nostri cari ci hanno preceduto e ci attendono per vivere nella gioia della Comunione con Dio e tra noi per sempre”.
Questa fede nella risurrezione ci sostiene e nutre la vita anche nel momento della prova e della sofferenza e diventa via di consolazione non virtuale ma concreta, fonte di serenità interiore e di profonda riconoscenza.
L’Arcivescovo si è soffermato anche a riflettere sul Giudizio che ci attenderà dopo la morte: “Il Signore è misericordioso e sa che siamo deboli ed è sempre pronto al perdono delle nostre colpe, ma sarà anche a suo tempo giusto perché ciascuno raccolga quanto ha seminato nella sua vita terrena: chi semina il male riceverà male e chi semina il bene riceverà bene”.
La giornata di oggi ci dà anche modo di vivere con sofferenza, ma con tanta gioia nel cuore, la memoria dei nostri cari e di quanto ci hanno donato. “Oggi ricordiamo tutto ciò che essi ci hanno insegnato, custodiamo i loro esempi che diventano un patrimonio prezioso a cui possiamo attingere per orientare i nostri comportamenti e le nostre scelte di vita”.
La memoria deve poi tradursi in impegno nel presente per percorrere con gioia e fedeltà la loro stessa strada di fedeltà al Vangelo, di servizio ai poveri, di sacrificio nel lavoro, di amore nella famiglia e di impegno nei diversi ambiti del loro vissuto anche familiare e comunitario.
Lo sgretolamento dei legami primari di parentela e affetto, unito all’aumento dell’età media della vita, fa sì che si muoia sempre meno in casa, circondati dalle persone care, e sempre più soli, in ospedale o in una casa di riposo. L’indebolimento delle tradizioni, unito ad un approccio tecnico-scientifico alla salute e alla morte, fa sì che si deleghi sempre di più alle istituzioni specializzate (l’ospedale, le agenzie di pompe funebri) compiti e servizi che un tempo facevano parte del modo con cui i familiari accompagnavano la morte dei propri cari.
“Tale processo di privatizzazione e di rimozione della morte – ha osservato Mons. Nosiglia – è accentuato nelle grandi città come la nostra, dove si tende ad occultare il più fretta possibile i segni della sepoltura e del lutto. L’affacciarsi di nuove tipologie di pratiche funerarie, come la dispersione delle ceneri e la custodia dell’urna in luoghi privati, favoriscono tale tendenza, che sempre più di rado si confronta con le regole e lo stile della tradizione ecclesiale”.
Nel corso della sua omelia, Mons. Nosiglia è tornato sul tema dei giovani, che tanto gli sta a cuore: “Queste sono giornate in cui diventa importante che consegniamo alle nuove generazioni il valore del ricordo di chi ci ha insegnato a camminare su questa via nelle nostre case”.
Assistiamo oggi alla separatezza tra giovani e adulti; e c’è un crescente divario tra loro che impedisce di operare insieme per il comune futuro di famiglia e di società. Il Papa a Torino ha detto con chiarezza che è necessario promuovere un patto educativo e sociale tra le generazioni per ricuperare la fiducia reciproca e riattivare quella solidarietà che ha rappresentato per tante famiglie il volano di un vero progresso umano ricco di valori umani, religiosi e sociali positivi, che non vanno perduti.
“Ai nostri giovani e ragazzi – ha proseguito l’arcivescovo – che amano la vita e che la vedono spesso chiusa alle loro speranze future di lavoro, di famiglia, di riconoscimento delle loro esigenze spirituali e di responsabilità sociali, o devastata da messaggi che li portano a cercare esperienze devianti e prive di valori di onestà, verità e coerenza morale, testimoniati dai loro educatori, diciamo di non temere perché anche i loro padri e nonni hanno passato momenti difficili e addirittura più tragici dei loro e hanno saputo reagire e lottare per quel mondo nuovo che oggi i giovani si ritrovano. I loro esempi di costanza nella prova, di vigore cementato dalla fede e dell’amore alla propria famiglia vanno dunque ricordati e valorizzati per incoraggiarli a lottare per la vita sempre e comunque, ad amare e sperare sempre e comunque, perché l’amore di Dio unito al nostro, alla fine risulterà vittorioso”.
“Alla fine – ha concluso Mons. Nosiglia – quello che conta più di tutto è la ricerca di un senso dell’esistenza che per chi crede sta nella fede e nella preghiera, e per tutti è comunque l’amore che sa donarsi e che nemmeno la morte riesce a spezzare”.
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Fonte: http://www.labuonaparola.it