Come da tradizione, all’indomani del giorno della commemorazione dei fedeli defunti, papa Francesco ha presieduto la messa di suffragio per i cardinali e i vescovi defunti nel corso dell’anno.
Durante l’omelia nella basilica di San Pietro, il Pontefice ha esortato a ripensare “con gratitudine” alla “vocazione di questi sacri ministri”, la cui funzione, ha ricordato, è appunto quella di “ministrare”, ovvero di “servire”, come, del resto, ha fatto “il Signore, che, come un servo, ha lavato i piedi ai suoi più stretti discepoli” (cfr Gv 13,14-15), come un “pastore”, quale lui è, pronto a “dare la vita per le sue pecore”.
“Chi serve e dona – ha osservato il Santo Padre – sembra un perdente agli occhi del mondo. In realtà, proprio perdendo la vita, la ritrova. Perché una vita che si spossessa di sé, perdendosi nell’amore, imita Cristo: vince la morte e dà vita al mondo. Chi serve, salva. Al contrario, chi non vive per servire, non serve per vivere”.
L’amore di Dio, ha aggiunto Francesco, è “così concreto che ha preso su di sé la nostra morte” e “per salvarci, ci ha raggiunti là dove noi eravamo andati a finire, allontanandoci da Dio datore di vita: nella morte, in un sepolcro senza uscita”. Ma il Figlio di Dio ci ama al punto di abbassarsi, “chinandosi come un servo verso di noi per assumere tutto quanto è nostro, fino a spalancarci le porte della vita”.
Così come nell’Antico Testamento, “gli israeliti che erano stati morsi dai serpenti, non morivano ma rimanevano in vita se guardavano il serpente di bronzo che Mosè, per ordine di Dio, aveva innalzato su un’asta […], la stessa logica è presente nella croce”, ha osservato il Papa. La morte, ha proseguito, “è entrata nel mondo per invidia del diavolo” e Gesù non l’ha fuggita, ma l’ha presa pienamente su di sé con tutte le sue contraddizioni”.
Dio ha quindi uno “stile” che “ci salva servendoci e annientandosi” e “ha molto da insegnarci”. La sua vittoria sulla morte non è “trionfante” ma “umilissima”: “innalzato sulla croce, lascia che il male e la morte si accaniscano contro di Lui mentre continua ad amare”. Questa realtà, per noi, è “difficile da accettare”: essa è un “mistero”, il cui segreto “sta tutto nella forza dell’amore”.
Nella Sua Pasqua, possiamo vedere insieme “la morte e il rimedio alla morte, e questo è possibile per il grande amore con cui Dio ci ha amati, per l’amore umile che si abbassa, per il servizio che sa assumere la condizione del servo” con cui “non solo ha tolto il male, ma l’ha trasformato in bene”. Gesù porta un cambiamento radicale non “a parole ma con i fatti; non in apparenza, ma nella sostanza; non in superficie, ma alla radice”, facendo “della croce un ponte verso la vita”.
Anche noi possiamo condividere la Sua vittoria, scegliendo “l’amore servizievole e umile, che rimane vittorioso per l’eternità”; “un amore che non grida e non si impone, ma sa attendere con fiducia e pazienza”. Mentre noi uomini “siamo portati ad amare ciò di cui sentiamo il bisogno e che desideriamo”, Dio “ama fino alla fine il mondo, cioè noi, così come siamo”.
L’auspicio del Santo Padre è quindi che noi “non abbiamo a inquietarci per quello che ci manca quaggiù, ma per il tesoro di lassù; non per quello che ci serve, ma per ciò che veramente serve”, perché tutti possano essere “liberi dagli affanni delle cose effimere, che passano e svaniscono nel nulla”.
“Che ci basti Lui, in cui ci sono vita, salvezza, risurrezione e gioia. Allora saremo servi secondo il suo cuore: non funzionari che prestano servizio, ma figli amati che donano la vita per il mondo”, ha poi concluso il Papa.