"La solidarietà nella libertà. Motivi francescani per una nuova democrazia"

Pubblicato da Cittadella Editrice, il saggio di Orlando Todisco spiega come la solidarietà vada pensata e vissuta oggi, nell’epoca della globalizzazione

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È la libertà, intesa come disponibilità a ricevere e a dare, in una dialogicità strutturale, il luogo francescano della solidarietà. Da qui l’interrogativo sia intorno al come la solidarietà vada pensata e vissuta oggi, nell’epoca della globalizzazione, e sia intorno al perché sia in crisi, sopraffatta da una diffusa conflittualità sempre più distruttiva.  

Parte da questi spunti il saggio “La solidarietà nella libertà. Motivi francescani per una nuova democrazia”, pubblicato da Cittadella Editrice a firma di Orlando Todisco. Al centro del volume, l’autore pone lo spirito dominatorio e possessivo e come suo rimedio la povertà, stile di pensiero e di vita. Contraria per un verso all’idolatria e per l’altro al disprezzo d’alcunché, la povertà si risolve sostanzialmente nell’itineranza – le volpi hanno le loro tane, gli uccelli i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha ove posare il capo (Mt 2,18) – e questa nella libertà creativa, espressione della consapevolezza che, essendo al mondo per un  gesto di liberale gratuità, ognuno dovrebbe, in maniera operosa e illuminata, confermare la propria gratitudine per quella voce che l’ha chiamato all’essere.

Dall’insieme s’impone la logica oblativa, secondo cui la dignità della condotta umana la si misura non in base a ciò che si ha, ma in base a ciò che si dà, e che al primo posto non si ponga il proprio io in una sorta di piega autoreferenziale, con un taglio rivendicativo, ma l’altro – Dio, i genitori, la società; non l’appropriazione, ma la donazione, non lo sfruttamento, ma l’arricchimento. Se si è grazie a colui che poteva non volerci (Scoto), come non guardare all’altro con riconoscenza, ringraziando, non chiudendosi nella torre del proprio io?

Quale allora la fatica della democrazia nell’ottica francescana? Prima che nel sostenere pari dignità dei cittadini, la fatica sta nell’apprestare le condizioni perché ognuno possa dare – sia sollecitato a dare – ciò che sa e ciò che può, secondo modalità diversificate, che esprimano il suo ringraziamento per essere al mondo. È la concezione dei popoli come una grande famiglia, dove nessuno è parassita e nessuno è protagonista, ma ognuno è servo e padrone al tempo stesso, con il compito di contribuire al suo miglioramento.

Non c’è constatazione più amara di quella che nasce dalla consapevolezza che non c’è più spazio – non c’è più interesse – per le nostre idee e per le nostre azioni, ritenute inutili o ingombranti. È il sistema al centro, all’interno del quale siamo chiamati a fare solo ciò che è anticipatamente predisposto. Si impone, forse, una sorta di ripensamento della qualità della convivenza democratica, muovendo dal primato dell’altro, non del sistema, della creatività, non dell’esecuzione o dell’ubbidienza, ridando cioè peso e senso alla soggettività irripetibile di ciascuno, senza appiattirla sulle procedure che garantiscono la sopravvivenza del sistema, ma a discapito della dignità dell’altro in quanto altro.

La società è povera non perché non ci siano progetti o risorse, ma perché non è nata né si è sviluppata perché ognuno possa dare ciò che sa e ciò che può, ma prioritariamente per il controllo e la sicurezza. Finché il sistema non garantisca a ogni cittadino un certo spazio di libertà creativa, la solidarietà non prevarrà sulla conflittualità – altra cosa dalla competizione. 

 
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ZENIT Staff

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