Nella sua consueta rubrica di liturgia, padre Edward McNamara LC, professore di Liturgia e Decano di Teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, risponde oggi a due domande.
Ho visitato un seminario e durante l’Ufficio Divino il sacerdote ha guidato la preghiera d’apertura – per esempio “O Signore, apri le mie labbra” o “O Dio vieni in mio aiuto” – e ha concluso l’ufficio dando la benedizione. A guidare la recitazione dei Salmi e delle rispettive antifone sono stati invece i soli seminaristi. In altre comunità religiose, i seminaristi guidano la preghiera sino alla fine, mentre il sacerdote non dà la benedizione. Il sacerdote non dovrebbe sia guidare la preghiera sia dare la benedizione, essendo più in alto nella scala gerarchica?— R.A., Quezon City, Filippine
Laici che scelgono di assumere la Liturgia delle Ore sono tenuti a recitare le ore della giornata (terza, sesta e nona)? — L.M.
In realtà esistono vari modi per guidare la Liturgia delle Ore. L’Introduzione alla Liturgia delle Ore offre indicazioni ben precise riguardo l’intervento minimo da parte del ministro ordinato e di altri ministri:
“253. Nella celebrazione della Liturgia delle Ore, come in tutte le altre azioni liturgiche, «ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza».
“254. Se presiede il vescovo, specialmente nella chiesa cattedrale, sia circondato dal suo presbiterio e dai ministri con la partecipazione plenaria e attiva del popolo. In qualunque celebrazione con il popolo, di norma, presieda il sacerdote o il diacono, e vi siano anche i ministri.
“255. Il sacerdote o il diacono che presiede la celebrazione, può indossare la stola sopra il camice o la cotta; il sacerdote anche il piviale. Nulla vieta inoltre che nelle maggiori solennità più sacerdoti indossino il piviale e i diaconi la dalmatica.
“256. È compito del sacerdote o del diacono che presiede dare inizio, dalla sua sede, all’Ufficio con il versetto d’introduzione; iniziare la preghiera del Signore; recitare l’orazione conclusiva; salutare il popolo, benedirlo e congedarlo.
“257. Può recitare le preci o il sacerdote o il ministro.
“258. In mancanza del sacerdote o del diacono, colui che presiede l’Ufficio è soltanto uno tra uguali; non entra in presbiterio, non saluta, né benedice il popolo.
“259. Coloro che adempiono l’ufficio di lettore proclamano le letture, sia lunghe che brevi, stando in piedi e nel luogo adatto.
“260. L’intonazione delle antifone, dei salmi e degli altri canti venga fatta da un cantore o dai cantori. Per quanto riguarda la salmodia, si osservino le norme date sopra, ai nn. 121-125.”
I punti dal 121 al 125 citano così:
“121. Sono possibili svariati modi di eseguire i salmi secondo che lo richiedono il genere letterario, la lunghezza, la lingua, l’esecuzione individuale o collettiva, la partecipazione del popolo. La facoltà di scegliere fra molte soluzioni possibili quella più confacente, giova non poco a far meglio percepire la fragranza spirituale e artistica dei salmi. Questi, infatti, non sono stati ordinati quasi fossero delle semplici quantità di preghiera da far seguire le une alle altre, ma secondo il criterio del contenuto e del carattere specifico di ciascuno di essi.
“122. I salmi si cantano o si recitano in modo continuato (cioè in directum), oppure a versetti o strofe in alternanza tra due cori o parti dell’assemblea, o in modo responsoriale. Tutto ciò secondo le diverse usanze confermate dalla tradizione e dall’esperienza.
“123. All’inizio di ogni salmo si premetta sempre l’antifona corrispondente, come viene indicato sopra ai nn. 113-120. Si mantenga poi l’uso di concluderlo con il «Gloria al Padre» e il «Come era». Il «Gloria» è infatti una conclusione adatta, convalidata dalla tradizione e tale da conferire alla preghiera dell’Antico Testamento un senso laudativo di carattere cristologico e trinitario. Dopo il salmo, secondo l’opportunità, si ripete l’antifona.
“124. Quando si recitano salmi più lunghi, questi nel salterio sono suddivisi in modo da esprimere la struttura ternaria dell’Ora, sempre però nel pieno rispetto della loro reale linea di pensiero.È bene attenersi a questa divisione, specialmente nella celebrazione corale in lingua latina, aggiungendo il «Gloria al Padre» alla fine di ogni sezione. Tuttavia è consentito o mantenere questo modo tradizionale, o interporre una pausa fra le diverse parti del medesimo salmo, o recitare il salmo intero tutto di seguito con la propria antifona.
“125. Quando, inoltre, il genere letterario del salmo lo consente, vengono indicate delle divisioni in strofe, in modo che, specialmente se i salmi vengono cantati in una lingua moderna, si possano eseguire intercalando l’antifona dopo ogni strofa; in tal caso è sufficiente aggiungere il «Gloria al Padre» alla fine di tutto il salmo.”
Perciò, la risposta alla prima domanda è che normalmente a dover impartire la benedizione finale e a dire la formula di congedo è il sacerdote che presiede, oppure un diacono.
Tuttavia, soprattutto in un seminario, può succedere che ci sia una buona ragione per omettere la benedizione finale e il congedo, e di usare la conclusione alternativa. La giornata in un seminario spesso inizia con le lodi, dopo le quali i seminaristi restano nella cappella per la preghiera personale fino alla Messa. In questi casi può sembrare contraddittorio che il sacerdote benedica e congeda un’assemblea che di fatto resta e che verrà inoltre di nuovo benedetta e congedata alla fine della Messa.
E’ vero che esiste la possibilità che le lodi o i vespri siano uniti alla Messa, ma questo viene fatto solo occasionalmente, e non su base giornaliera o regolare.
Riguardo la seconda domanda, possiamo rispondere che, dal momento che per un laico recitare una qualsiasi ora dell’Ufficio divino è opzionale e non obbligatorio, ne consegue quindi che lui o lei possa scegliere se omettere la preghiera di mezzogiorno, o scegliere una qualsiasi delle ore o persino recitarle tutte.
Se un laico compie un voto privato o assume qualche altra forma di impegno personale, come ad esempio entrare in un terzo ordine o in un movimento spirituale, egli seguirà gli obblighi spirituali liberamente scelti secondo le usanze dell’associazione.
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Follow-up: Candele permanenti all’ambone
Ci sono state molte richieste di precisazioni riguardo l’articolo circa l’introduzione di candele permanenti all’ambone.
Un diacono di rito bizantino, commentando, ha scritto: “La sua rubrica circa le ‘Candele permanenti all’ambone,’ Lei l’ha conclusa con l’affermazione, ‘Tuttavia, in questo caso l’ambone è considerato come parte dell’altare ed è collocato esattamente di fronte le Porte Sante dell’iconostasi.’ Nonostante tecnicamente questo sia vero, mi chiedo se Lei forse non stesse confondendo il tetràpode, il tavolino nella navata davanti alle Porte Sante, con l’ambone. L’ambone, o ambon nella nostra tradizione, è un elemento semicircolare che si protende dal centro del camminamento sollevato, il solea, di fronte all’iconostasi. Si trova di fronte alle Porte Sante ed è da lì che viene proclamato il Vangelo, che le litanie vengono intonate dal diacono, e che viene impartita dal sacerdote la benedizione finale. Tutto ciò che dall’ambone va oltre l’iconostasi’ è considerato ‘altare’ nel senso di ‘luogo santo’. Ciò che l’Occidente definisce ‘altare’ è invece riferito solitamente alla Sacra Tavola. L’unica occasione in cui si potrebbero vedere delle candele presso l’ambone, sarebbe qualora lì vicino si trovassero delle icone
, e quindi le candele verrebbero accese in segno di devozione verso il soggetto dell’icona. Il tetràpode, d’altro canto, è un riflesso della Sacra Tavola, e varie funzioni hanno luogo in quel punto. Matrimoni, battesimi, funzioni in memoria dei defunti al di fuori della liturgia, parti della preghiera mattutina, devozioni speciali a Cristo, alla Madre di Dio e ai santi, ad esempio, avvengono tutti presso il tetrapode, e non presso l’altare. Il tetràpode, visto che viene usato così frequentemente, viene solitamente decorato almeno con paramenti d’altare, candele e un’icona.”
Nel mio primo articolo mi riferivo all’ambone nel senso che il nostro lettore ha menzionato, ma forse sono stato confuso dalle numerose immagini che mostrano candele vicino all’ambone. Ringrazio il lettore per la sua spiegazione.
Un altro lettore, dall’Italia, mi ha gentilmente ricordato una pratica usata nel monastero benedettino di Cluny e nei monasteri a esso affiliati, tra l’anno 1000 ed il 1100, in cui una candela veniva tenuta costantemente accesa presso l’ambone, poiché “La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero” (Salmo 119). Questa lampada si spostò poi verso il Tabernacolo quando l’usanza di conservare l’Eucaristia in un luogo prominente si stava diffondendo.
Questa usanza storica ci aiuta ad apprezzare meglio il valore che deve essere dato alla Parola di Dio, nonostante io non creda che essa abbia direttamente a che vedere con l’attuale introduzione di “candele da ambone” in alcuni luoghi.
Un lettore da Pechino ha scritto: “Mi chiedo se le candele all’altare (almeno due, secondo l’OGMR) possano servire da candele all’ambone durante la processione del Vangelo?”
Stando al punto n. 117 dell’Introduzione al Messale, le candele usate all’altare possono essere utilizzate per la processione d’ingresso. Se però viene fatto questo, allora io credo che una volta collocate sopra o presso l’altare, esse non debbano essere rimosse sino alla fine della Messa. Nei libri liturgici non c’è nulla che implichi la rimozione delle candele dell’altare durante la Messa, e ed è prassi comune di usare o candele diverse per il Vangelo o le candele usate nella processione d’ingresso qualora, come d’altronde è molto comune, queste siano diverse dalle candele dell’altare.
Infine un lettore ha chiesto: “Lei può scrivere un commento circa le chiese conventuali dove viene celebrato l’ufficio? Vengono accese le candele dell’altare o le candele vicino al crocifisso?“
Qui rinvierei alle legittime consuetudini dell’ordine. Se va incensato l’altare, allora apparirebbe logico accendere le candele dell’altare. Ma, come ho detto, potrebbe esserci una legittima consuetudine di accendere anche quelle presso il crocifisso.
L’introduzione alla Liturgia delle Ore non propone norme molto dettagliate in proposito, forse perché le situazioni concrete in cui l’Ufficio viene celebrato possono essere svariare molto.
[Traduzione dall’inglese a cura di Maria Irene De Maeyer]
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I lettori possono inviare domande all’indirizzo liturgia.zenit@zenit.org. Si chiede gentilmente di menzionare la parola “Liturgia” nel campo dell’oggetto. Il testo dovrebbe includere le iniziali, il nome della città e stato, provincia o nazione. Padre McNamara potrà rispondere solo ad una piccola selezione delle numerosissime domande che ci pervengono.