I giornalisti di guerra “offrono un’ancora di salvezza a coloro che sono intrappolati dietro le linee nemiche o colpiti dal fuoco incrociato”. “I media sono al servizio del bene comune” e “l’informazione è uno dei principali strumenti della partecipazione democratica”, nonché un mezzo “fondamentale e necessario per la comunità umana”. Pertanto “non ci sono scuse perché le parti in causa di un conflitto non rispettino e proteggano i giornalisti”.
Sono alcuni dei passaggi più forti del discorso che mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, ha pronunciato ieri a New York, nell’ambito di un dibattito del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dedicato proprio alla tutela dei giornalisti nelle situazioni di conflitto.
Nel sup intervento – riportato in ampi stralci dalla Radio Vaticana – il presule ha ricordato “l’enorme contributo al mondo” dei giornalisti che hanno perso la vita o la libertà mentre operavano in zone di conflitto (94 morti e 337 imprigionati solo tra il 2014 ed il 2015).
La rilevanza di tali reporter – ha sottolineato Auza – “continua a crescere nel mondo attuale, sempre più interconnesso”, dal momento che il progresso tecnologico rende le comunità di tutto il mondo “smaniose di ricevere notizie constanti dalle zone di guerra”. E se ciò è un bene per “la promozione della solidarietà globale e degli aiuti umanitari nei confronti delle vittime”, allo stesso tempo rappresenta “una difficoltà” quando si tratta di “valutare l’obiettività dell’informazione ricevuta”.
Infatti, spiega l’Osservatore vaticano, le parti coinvolte nel conflitto non possono ritenersi “fonti affidabili di un’informazione obiettiva”. Perciò è di “fondamentale importanza” la presenza di giornalisti “dediti alla verità ed alla promozione del bene comune”, anche se non va sottovalutato “il grave rischio” che uno dei contendenti voglia “specificatamente colpire un giornalisti fedele al suo dovere di cronaca obiettiva”.
Mons. Auza ricorda che la comunità internazionale ha già a disposizione alcuni strumenti per tutelare i reporter di guerra, come la Convenzione di Ginevra ed i suoi Protocolli addizionali. Ciò tuttavia risulta insufficiente, tenendo conto che “nel 90% dei casi, l’uccisione di giornalisti è avvenuta senza motivo e meno del 5% dei colpevoli è stato arrestato e processato”.
Da considerare, poi, che nel contesto attuale, in cui “i conflitti vengono perpetrati da attori non-statali”, è importante riesaminare il sistema di diritti e tutele dei cronisti nei conflitti, per vedere “se esso è ancora adeguato o se, invece, sono necessarie nuove misure”. In quest’ambito – ha rimarcato l’arcivescovo – la comunità internazionale può “giocare un ruolo importante nel fornire assistenza tecnica e finanziaria ai Paesi che ne hanno bisogno per migliorare le politiche di tutela dei reporter ed affrontare le violazioni di diritti già esistenti”.
Da parte loro i cronisti – ha spiegato il delegato vaticano – devono, innanzitutto, “usare il tatto, in particolare nelle situazioni in cui il dovere di essere obiettivi si scontra con il rispetto dei valori culturali e del credo religioso di una popolazione coinvolta in una guerra”. Infatti, “mentre la mancanza di informazione obiettiva è un disservizio alla verità e può mettere a rischio le vite e le politiche di un Paese, la mancanza di rispetto per la cultura e la religione può esacerbare il conflitto stesso”.
Prima di concludere, Auza ha rivolto quindi un pensiero a tutti gli operatori che “sono in prima linea affinché il grido delle vittime dei conflitti possa essere udito e la voce di chi desidera la pace possa avere eco”. Ha quindi espresso l’auspicio che si possa “lavorare tutti insieme per bandire le guerre ed i conflitti, affinché nessuno debba mai rischiare la vita e l’incolumità fisica”.