Fu verso la fine del primo decennio di vita romana che a Filippo cominciò a farsi chiara la sua vocazione: e lo fu per un evento straordinario, di cui egli stesso lasciò irrefragabile memoria. Lo narrò un testimone di certa attendibilità: il cardinale Federico Borromeo, la cui deposizione in proposito dirada un po’ il buio di quegli anni con rapidi cenni di sicure notizie.
«Nel principio della sua conversione — gli aveva riferito Filippo “con grande umiltà” — pregò lo Spirito Santo che “gli desse spirito”». L’episodio a cui preludono queste parole si colloca nel 1544, all’incirca sul trentesimo della sua vita. È allora «al principio della sua conversione»; a questo accenna pure padre Francesco «Essendosi convertito a Dio, piangeva molto peccati».
Non si tratta sicuramente d’un passaggio da vita peccaminosa a pratica della virtù, si allude piuttosto alla “conversio morum” della benedettina Regula monacorum: una decisa scelta del servizio di Dio, in attesa di più preciso indirizzo. Non era infatti «anco in tutto sicuro della vita che dovea tenere». La risposta gli venne immediatamente, lucida e perfino violenta. Secondo la narrazione del Borromeo, dopo un’apparizione di san Giovan Battista, lo colpì un empito di ardore, una irruzione di Spirito Santo, da farlo gettare a terra e da segnarlo nel fisico. Fu quella la sua transverberazione, una specie di stigmatizzazione che quasi a sua insapute lo introdusse in una sfera di esperienza mistica.
Lo confessò egli stesso anche al suo medico, il Vittori: «Mi diceva che di trent’anni stava in gran fervore e pregava lo Spirito Santo che li desse cumulo di spirito; e mi disse che gliene aveva dato tanto che si buttasse in terra e, rilevato, sentì alzate le coste e una concussione dentro, la quale è durata sino che visse». Due costole – come sarà verificato anche dall’esame della salma rimasero staccate dalle cartilagini e formarono un groppo visibile sul fianco sinistro.
Da allora egli sperimentò per tutta la vita singolari e violente palpitazioni di cuore, da non pochi testimoniate, e estenuanti calori anche m inverno. Più tardi si suppose che l’episodio fosse avvenuto nella Pentecoste di quell’anno 1544, ambientato nelle catacombe di San Sebastiano (dove ne fu collocato il ricordo) e si parlò d’un globo di fuoco che dalla bocca fosse entrato nelle viscere di Filippo. Tutti particolari cari a certa tradizione e devozione filippina (e raccolti ingenuamente pure dal Bacci), anche se privi di alcuna seria documentazione.
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Questa pagina è tratta dal libro San Filippo Neri. Breve storia di una grande vita, di Antonio Cistellini edito dalla San Paolo.