Mons. Joaquín Alonso, dottore in Diritto Canonico, visse e lavorò a Roma fianco a fianco con san Josemaría Escrivá. Da 62 anni risiede nella Capitale, dove, tra l’altro, svolge il ruolo di teologo Consultore della Congregazione per le Cause dei Santi. E, a proposito di santi, nella intervista che riportiamo di seguito – a cura di Rodrigo Ayude – parla di mons. Óscar Romero, beatificato oggi 23 maggio in San Salvador.
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Mons. Alonso, come ha conosciuto il beato Óscar Romero?
Lo conobbi a Roma, nel 1974. Il 30 ottobre di quell’anno venne nella Capitale – non era la prima volta – e Josemaría, che lo avrebbe ricevuto qualche giorno più tardi, l’8 novembre, mi chiese di accoglierlo. Romero, qualche giorno prima di partire, era stato nominato vescovo di Santiago de María, in El Salvador. Mi disse che il viaggio nella Città Eterna era provvidenziale, perché lo stava aiutando ad uscire dall’ambiente abituale, a prendere un po’ le distanze da quel piccolo mondo che gli pesava e a vedere altri orizzonti. Lui sentiva la responsabilità della nuova sede episcopale, e aveva bisogno di essere ascoltato e incoraggiato.
Cosa ricorda in particolare di quel periodo?
Per me fu un’opportunità per parlare con mons. Romero a lungo e a fondo. Furono conversazioni fraterne e molto ‘sacerdotali’. Tra le altre cose, Romero mi disse che, dall’inizio degli anni ’60, aveva come padre spirituale un sacerdote dell’Opus Dei, don Juan Aznar, scomparso nel marzo del 2004. Più avanti conobbi alcuni dettagli di questo rapporto con don Aznar. Ad esempio, in una lettera del 1970, Romero confidava: “Nessuno oltre a lei capisce la mia anima”. E, nel 1973, inviando gli auguri di Natale, aggiunse: “Non dimenticherò mai la sua saggia guida”. Il Beato era un sacerdote molto ‘grato’, e rimasi colpito quando seppi che era morto proprio mentre celebrava l’Eucaristia, rendimento di grazie per eccellenza.
Come si svolse invece l’incontro tra mons. Romero e san Josemaría?
San Josemaría, come dicevo, lo ricevette l’8 novembre. La conversazione durò un’ora e, alla fine, mons. Romero mi confidò che quell’incontro lo aveva impressionato profondamente. Mi disse che si era sentito confortato nella sua fede da san Josemaría e che il fondatore dell’Opus Dei lo aveva abbracciato, facendolo sentire amato e accompagnato. Mons. Romero lo definì un “uomo di Dio” e approfittò dell’incontro per invitarlo a visitare il Centro America, viaggio che si potè realizzare nel 1975. L’arcivescovo savadoregno, in quella visita a Roma, riuscì anche a salutare il Beato Paolo VI, e si rallegró nell’ascoltare alcune parole di incoraggiamento da parte sua. In seguito, mi disse che questo viaggio a Roma gli ricordava i suoi primi anni di sacerdozio e che quindi era stato davvero un regalo di Dio.
Il vostro rapporto proseguì negli anni successivi?
Ricordo che il 26 giugno 1978 – terzo anniversario della scomparsa di san Josemaría – Romero venne a celebrare la Messa nella cripta di Santa Maria della Pace, dove è sepolto il fondatore. Io concelebrai. Pronunciò un’omelia breve, colma di amore e gratitudine verso San Josemaría, sottolineando che, dalla prima volta che si erano incontrati, si sentiva trattato come un fratello. Parole che lasciò poi anche scritte in una lettera. Questo accadde, nel 1978, un anno dopo che mons. Romero era stato eletto arcivescovo di San Salvador.
Cosa provò nell’apprendere la sua morte?
La tragica notizia mi provocò una forte commozione e, al contempo, mi suscitò il desiderio di accompagnare la sua dipartita con la preghiera e di chiedere la sua intercessione per la Chiesa in America Latina. Inoltre ringraziai il Signore per avermi dato la possibilità di conoscere personalmente questo grande uomo di Dio.
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[L’intervista è stata pubblicata lo scorso 18 maggio sul sito www.opusdei.es. La riproduzione è autorizzata]