Quando ancor piccolo, con la mamma sono andato a raccogliere l’erba per i conigli e le oche, una siamo stati sorpresi dal cattivo tempo. “Vieni a bonaccia!” mi ha gridato la mia mamma, in gergo dialettale, invitandomi a correre per ripararmi con lei dentro il capanno degli attrezzi di lavoro. Vento, pioggia improvvisa o momentanee burrascate erano l’occasione per correre a ripararsi nel fragile, ma prezioso rifugio, in aperta campagna. Un riparo lontano da casa.
Durava pochi minuti il temporale, ma sufficienti per valutare oltre ogni stima quella baracchetta fatta di assi sconnesse, paglia e fieno. Fragile perché agli urti del vento la vedevamo barcollare e nelle folate più violente ne avvertivamo filtrare l’aria; umile ma preziosa perché ti lasciava non solo immaginare, ma anche quantificare la portata del pericolo da cui ti riparava.
Sentivo la violenza minacciosa del vento e dell’acqua e nello stesso tempo una particolare sensazione di protezione. “Ringrazieremo il nonno – aggiungeva la mamma – che ha costruito questo riparo fortunoso ma opportuno”.
Stando fermo, immobile e muto volevo manifestare silenziosamente il mio grazie non solo al capanno e al nonno, ma soprattutto alla mamma, vero riparo in ogni avversità.
Man mano che nella mia vita si sono verificati, e ancor oggi si presentano, burrasche o temporali, schianti o fulmini a ciel sereno, sento che Maria vuol farmi capire che entrando sempre nel suo “capanno” sono stato, sono e sarò sempre altamente protetto, riparato.
Questa “sensazione” di altissima protezione suscita in me profonda riconoscenza a Colei che invochiamo “rifugio”, e mi spinge a gridare ai miei fratelli in pericolo di “venire a bonaccia” e a stare sempre al suo sicuro riparo.
Sotto il manto della mamma troviamo sempre rifugio e sicura protezione.
Ciao da p. Andrea
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