Il Papa e i vescovi

Francesco proietta l’Italia in una visione mondiale

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Il cardinale Bagnasco, presiedendo le periodiche sessioni della Conferenza Episcopale Italiana, non si stanca di ricordare due grandi verità: l’Italia è una grande Nazione che deve restare unita, e la Chiesa è custode di questa unità, in quanto essa si fonda in primo luogo sulla fede cristiana.

Parlando ieri a sua volta ai vescovi, Papa Bergoglio – che del nostro Paese è il Primate – ha dato il proprio avallo a questa visione del cardinale, ricordando la prima conseguenza del fatto che gli Italiani si riconoscono in una stessa identità: “A noi viene chiesto di consolare, di aiutare, di incoraggiare, senza alcuna distinzione, tutti i nostri fratelli oppressi sotto il peso delle loro croci, accompagnandoli, senza mai stancarci di operare per risollevarli con la forza che viene da Dio”; l’unità reca con sé il dovere della solidarietà reciproca.

Vi sono Nazioni la cui unità – essendo accettata come presupposto – non costituisce l’oggetto di una scelta politica. L’Italia, purtroppo, si divide periodicamente proprio sulla scelta tra stare insieme o dividersi.  Fu così non soltanto nel Risorgimento, ma anche al tempo della Grande Guerra, quando la scelta era tra la distruzione degli Imperi e la fine degli Stati nazionali.

L’aver superato solidalmente quella prova rivelò che gli Italiani volevano restare uniti, e che le grandi masse di contadini, che allora costituivano la maggioranza dei nostri concittadini, avevano aderito alla scelta compiuta soltanto, nella generazione precedente, di una “élite” di intellettuali.

Nella Seconda Guerra mondiale le tensioni politiche – ed anche qui lo scontro tra democrazia e dittatura aveva assunto dimensioni cosmiche, dividendo la stessa Europa – portò infine alla frantumazione in due Stati, contrapposti da una guerra civile. Se oggi non corriamo questo rischio, lo dobbiamo soprattutto alla Chiesa, la quale – dopo la fine delle discipline ideologiche contrapposte, ma diffuse a livello nazionale – mantiene la coesione del tessuto spirituale comune dell’Italia, ma anche del suo tessuto sociale.

E qui suona particolarmente attuale e pertinente il richiamo del Papa a farsi carico dei bisogni che la crisi economica sta drammaticamente moltiplicando. Francesco non dimentica però l’altra sua radice, l’altra sua identità, quella latino americana. Ed infatti avverte subito i presuli dicendo: “I miei interrogativi e le mie preoccupazioni nascono da una visione globale, non solo dell’Italia, globale”.

Tra la causa nazionale e quella internazionale (un tempo si diceva internazionalista) non vi è però nessuna contraddizione. Ad una condizione: che si sappia leggere il confronto aperto nell’ambito italiano come un aspetto particolare, benché importante, di un confronto di ordine mondiale.

Nel 1915/18 era in gioco il principio la causa delle nazionalità; nel 1945 era in gioca la causa delle democrazie; oggi è in gioca la causa della giustizia sociale a livello mondiale. Una rottura – quale alcuni auspicano – del patto di solidarietà tra tutti gli Italiani vorrebbe dire schierarci contro la solidarietà e, per l’appunto,  contro la giustizia sociale.

Nel richiamo del Papa a combattere quelle che chiama espressamente “le colonizzazioni ideologiche” non si può forse cogliere un appello a rifiutare la visione egoistica insita nel liberismo estremo, di cui vediamo in tutto il mondo gli esiti catastrofici? E chi altri può avere causato quella che il Papa definisce la “diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratore” come anche le stesse “comunità cristiane”?

Che cosa però deve caratterizzare l’impegno dei cristiani per la giustizia? Due sono i criteri che indica Papa Francesco. Il primo di essi è la libertà di coscienza: è finito il tempo del clericalismo, del confessionalismo, delle tentazioni temporali della gerarchia; ed infatti “i laici che hanno una formazione cristiana autentica non dovrebbero aver bisogno del vescovo – pilota o del monsignore – pilota o di un input clericale”. L’altro criterio è la democrazia, che si manifesta nella Chiesa come collegialità: davanti alla crisi globale, il Papa potrebbe richiamare alla disciplina, invece dice che “si nota in alcune parti del mondo un diffuso indebolimento della collegialità”: la salvezza sta dunque nella somma delle coscienze individuali, coesa nella solidarietà ed espresse  nel libero confronto: nella Chiesa, nello Stato ed in ogni consorzio umano.

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Alfonso Maria Bruno

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