L’attività degli Alpini può apparire come una metafora della scalata verso Dio, che riflette, del resto, la solennità liturgica dell’Ascensione, celebratasi ieri. Lo ha detto l’Ordinario Militare per l’Italia, monsignor Santo Marcianò, celebrando messa all’Aquila, in occasione del raduno nazionale degli Alpini.
Durante l’omelia, l’Ordinario Militare ha individuato tre verbi, il primo dei quali è “faticare”: qualsiasi ascesa, infatti, “è un qualcosa che non si improvvisa ma richiede forza e tempo”.
È la stessa fatica che si riscontra nella ricostruzione del Regno di Israele (cfr. At 1,1-11), di cui parla Gesù. Assistendo alla Sua Resurrezione, i discepoli comprendono che la morte non ha l’ultima parola, come si può riscontrare anche dalla “fatica della ricostruzione” dell’Aquila, per la quale gli alpini hanno collaborato, dopo il terremoto del 2009.
“Le vostre opere si vedono – ha detto monsignor Marcianò, rivolto ai militari – mentre tanto resta ancora da fare; per questo facciamo appello alle autorità competenti perché presto tutto riprenda a vivere”.
Il secondo verbo è “camminare” e dà l’idea di quando un alpino si mette in marcia, ovvero mai da solo, sempre “in cordata”, alla presenza dei suoi compagni.
In quanto “uomini di comunione”, gli alpini sono chiamati a diventare “costruttori e operatori di pace”. Nella loro attività, salvare le vite umane è una sorta di vocazione ma è anche qualcosa che si concretizza insieme ad altri.
“È proprio vero: non ci si salva da soli ma anche non si salva da soli. Quante persone avete salvato e salvate, talora a costo della sicurezza e della vostra vita… Quanto soccorso avete portato e portate, anche in questa terra… Ma per soccorrere gli altri abbiamo bisogno degli altri!”, ha detto l’Ordinario Militare, durante l’omelia.
Il terzo e ultimo verbo è “contemplare” e implica il “guardare verso l’alto” ma anche il “contemplare dall’alto”, proprio come fanno gli alpini. In una prospettiva sovrannaturale, ciò significa “contemplare il Cuore di Dio” e, conseguentemente, “guardare al cuore dei fratelli dalla prospettiva del Suo Cuore”.
Tale contemplazione è l’“anticamera della pace”, che si può raggiungere anche nel “silenzio” che gli alpini possono gustare nella natura, in particolare “sulle vette più alte e splendide”. E il silenzio è “ambasciatore della presenza di Dio”, ha sottolineato il presule.
In conclusione, gli alpini sono chiamati a proclamare il Vangelo, trasferendo ciò che fanno “nella vita di ogni giorno”, a partire dallo “stile di vita” delle proprie famiglie, dall’educazione offerta ai figli, dalla “testimonianza sul lavoro”, dagli “impegni di volontariato”, dalla “vita sociale”, dalla “presenza nelle comunità ecclesiali” e, in particolare, nella Chiesa dell’Ordinariato Militare.
“Le montagne che scalate – ha proseguito, rivolto agli alpini – paradossalmente, sono le vette che non vi portano più lontani ma più vicini alle difficoltà e ai pericoli che gli altri affrontano; sono le vette delle bellezze più nascoste, che voi sapete vedere non solo nei paesaggi ma negli occhi umani, soprattutto nell’ora della fragilità, bisognosi di aiuto e speranza; e sono le vette della spiritualità, sulle quali potete accompagnare ogni uomo a guardare il Cielo”.
È proprio in Cielo che Gesù è salito ma “da lì, rimane con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo, dicendo «grazie» a chi, come voi, sa faticare per ogni fratello, camminare con ogni fratello, contemplare ogni fratello”, ha poi concluso monsignor Marcianò.