Pilgrimage in honour of late archbishop Oscar Romero

ANSA - OSCAR RIVERA

Oscar Romero, martire di libertà

Come don Puglisi, anche l’arcivescovo salvadoregno, che sarà beatificato in questi giorni, è stato ucciso per la sua fedeltà al Vangelo

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«Annunciare verità, proporre qualcosa di utile all’umanità, è una ricetta infallibile per essere perseguitati». Il cecchino degli Squadroni della morte che il 24 marzo del 1980 sparò a monsignor Oscar Arnulfo Romero dimostrò la fondatezza del teorema di Voltaire. E con un colpo solo si sbarazzò di un uomo per molti scomodo privando il mondo di un Pastore che attraverso il suo ministero educava alla libertà e per questo ancor oggi vive.

Il vescovo salvadoregno sarà proclamato beato sabato prossimo, dopo che nel 2012 Papa Benedetto XVI aveva dato nuova linfa alla causa di beatificazione che, finalmente, è giunta in porto grazie alla precisa volontà di Papa Francesco. Come don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia in odium fidei, anche monsignor Romero sarà riconosciuto martire per l’odio nutrito nei confronti della sua volontà di restare fedele agli insegnamenti del Vangelo. E come con il riconoscimento del martirio del parroco di Brancaccio si fece definitivamente luce su ogni equivoco sulla presunta religiosità della mafia, così adesso con Romero si fuga il dubbio –  ricorrente perché storicamente radicato in America latina – che vi possano essere dittature cattoliche. Contro i regimi del terrore vi furono preti che imbracciarono la causa delle guerriglie e delle rivoluzioni e molti altri che decisero di stare dalla parte dei poveri mettendo in pratica le indicazioni del Concilio. Tra costoro monsignor Romero.

Attraverso l’annuncio del Vangelo, la formazione, l’amministrazione dei sacramenti e la testimonianza quotidiana, egli intendeva arginare l’ingiustizia e lo faceva criticando gli eccessi della ricchezza, denunciando i crimini, lavorando ogni giorno perché migliorassero le condizioni di vita dei fedeli, in particolare dei più giovani. Nella scia di Amos, il profeta contemporaneo di Osea che aveva osato puntare l’indice contro la corruzione del regime di Samaria, il Presule sudamericano squarciò il silenzio sul solito tragico rosario degli atti tipici delle tirannidi, ovvero violenze inusitate, abusi, soprusi, torture, esecuzioni sommarie. Gli bastarono tre anni da quando, nel 1977, fu chiamato da Paolo VI alla guida della diocesi di San Salvador, fino al giorno dell’assassinio, per diventare un simbolo globale. E se Puglisi, un istante prima d’essere ammazzato, sorrise al suo sicario, provocandone poi così il pentimento e la conversione, Romero rivolse ai suoi carnefici le ultime parole (racchiuse nell’omelia pronunciata in visita all’ospedale) prima di essere ucciso nel momento dell’elevazione dell’ostia nella consacrazione: «Davanti all’ordine di uccidere deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere. È tempo di recuperare la vostra coscienza e di obbedire prima alla vostra coscienza che all’ordine del peccato. La Chiesa, che difende i diritti di Dio, la legge di Dio, la dignità umana, la persona, non può restare silenziosa davanti a tanta ignominia».

Poi lo sparo, le urla, il sangue. Chi pensava di averlo messo a tacere per sempre,non solo  ha dato voce ad un popolo di fedeli, ma lo consegnò alla beatificazione eterna.

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Vincenzo Bertolone

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