Il mese di maggio, tradizionalmente dedicato a Maria, ci offre occasione per accennare a una forma sorprendente di insidia alla fede, anzi paradossale: quella di porre la Madre di Gesù contro il Figlio, quasi che fosse una “Dea” concorrente che, pur essendo sua creatura, conterebbe più del Creatore.
Stiamo parlando della devozione alla Madonna e, a latere, di qualsiasi forma di spiritualità che si pone (non lei di per sé ma chi la vive la pone) in antagonismo con la fede che Gesù ha stabilito per l’universalità dei suoi fedeli.
Delle varie devozioni e spiritualità, nutrite di una fede tutta particolare, che si appoggia a rivelazioni private – che qualcuno ha definito “apparizionismi” – parleremo in altro momento (1). Qui vogliamo riflettere solo su quella che si nutre di rivelazioni mariane (attenzione!) non solo “presunte” ma perfino “reali” come lo sono quelle giudicate tali da esame fattone dalla Chiesa.
L’insidia è sottile perché, insieme alla deviazione dalla via “normale” della Fede, che la Chiesa con il suo Magistero, offre a tutti, è la stessa Chiesa a raccomandare che si coltivi la devozione Mariana come obbligatoria e non facoltativa (cf l’assioma “non può aver Dio per Padre chi non ha Maria per Madre”, strettamente derivato dallo “ecco tua Madre” stabilito da Gesù in croce, insieme al “De Maria numquam satis” raccomandato da Papi e Santi).
Il pericolo consiste chiaramente nello spingere i fedeli a trascurare le ricchezze indiscutibili che sono connesse con la via “normale”, e che la Chiesa ritiene irrinunciabili, per prediligere forme di pietà che (ed ecco i pericoli, gravi e tutt’altro che ipotetici!):
1- fanno nutrire una forma di religiosità elitaria, distaccando dalla comunione con il resto del popolo di Dio (ci si disinteressa per es. di attività pastorali promosse dalla parrocchia per coltivare esclusivamente la propria devozione). Si crea il fenomeno di fratelli che camminano a fianco di altri fratelli, disinteressandosi della pastorale globale e delle vicende, sia problematiche sia promozionali, vissute dagli altri. Si creano riunioni private, si organizzano pellegrinaggi, gruppi di preghiera ecc… senza sentire, o perfino contro, il parere del parroco, rifiutando di integrarsi nella vita della comunità (2);
2- spingono a trascurare i mezzi normali che la Chiesa coltiva e propone da sempre come accessibili a tutti: la lectio divina, la lettura meditata (e approfondita dialogicamente e comunitariamente) dei documenti del Magistero, l’adorazione eucaristica, la lettura spirituale, la liturgia, la catechesi degli adulti, l’impegno pastorale e apostolico ecc… Per esempio – e riferendoci strettamente alla devozione mariana! – quanti di tali particolari devoti di Maria l’hanno nutrita anche leggendo il capitolo VIII della Lumen Gentium riservata dal Concilio Vaticano II proprio a lei? O, di quelli che pure insistono a moltiplicare rosari su rosari, quanti hanno letto la Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II, destinata, come dice il titolo, all’episcopato, al clero e ai fedeli sul Santo Rosario, o la Esortazione Apostolica Marialis cultus di Paolo VI? E’ vero che il Signore non esige più di tanto da persone “semplici” e che se uno si commuove davanti a una statuetta particolare o si sente spronato e incoraggiato alla virtù perché indossa l’Abitino della Madonna o ha al collo la Medaglia Miracolosa, buon pro gli faccia. Ma esiste o no un danno nello spingerlo a trascurare il di più che gli verrebbe dando una direzione più ecclesiale alla sua devozione Mariana, rendendola armonicamente collegata con la fede profonda che la Chiesa sollecita a tutti fino a raggiungere “la pienezza della misura di Cristo”? (cf Ef 4,13) Se alcuni, anzi molti, fedeli trovano ostico il linguaggio dei documenti magisteriali (ostilità che non risiede in essi documenti ma nel proprio “spaventoso analfabetismo religioso” come ha osservato la CEI) perché insistere a mantenerli nella minorità? Perché non spingerli a vette ascetiche più salubri, a gustare cibo più sostanzioso, ad attingere a fonti che “dissetando assetano”? (3) Sono forse cronicamente incapaci i fedeli di salire oltre? San Paolo non ha indirizzato le sue lettere (formative anzichenò) ai pescatori di Corinto? E si dà il caso che vi sono sètte che attirano e fanno leva su una spiritualità più profonda (perfino mistica ma – ahimé! – unendo sincretisticamente gli insegnamenti vedici, induisti e buddisti, a citazioni di S. Giovanni della Croce e S. Teresa d’Avila) o su una conoscenza più approfondita (anche se illusoriamente) della Bibbia, con riunioni che vanno ben oltre quel poco che se ne può apprendere durante una omelia settimanale di dieci minuti o poco più…
Insomma non è solo la mancata testimonianza di certa parte del clero e dei cristiani che può mettere i soggetti più deboli nella fede in crisi di delusione e in ricerca di Movimenti Religiosi Alterativi (MRA). Lo può fare ed egregiamente anche la proposta di una diversità che, a tutta prima, appare come innocente e anzi benedetta, come lo è quella di coltivare una devozione mariana che, in quanto devozione e in quanto mariana ha le carte in regola, ma in quanto al modo con cui viene vissuta e diretta da certi promotori, può essere “settaria” (4) e aprire la porta a scantonare, di fronte a nuove delusioni (che immancabilmente si incontreranno anche lì) verso MRA di fede alternativa alla cattolica.
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NOTE
[1] Per esse consigliamo di ripassare le brevi ma compendiose “Norme per procedere nel discernimento di presunte apparizioni e rivelazioni”, elaborate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede già dal 1978. [2] E’ vero o no che in certe parrocchie accade che il parroco – e proprio per unire i fedeli attorno a Gesù, fonte di ogni rinnovamento! – istituisce l’ora di adorazione settimanale, ma succede che viene disertata da gruppi di preghiera, dai catechisti, da membri di confraternite ecc… già strutturatisi con i loro programmi e che si riuniscono in un certo luogo (magari incoraggiati e nutriti da un frate compiacente), oppure si sentono già a posto perché hanno trovato la forma per loro più gratificante di impegno apostolico? E come si potrà mai chiedere a chi ha tale mentalità di fare un esame di coscienza alla luce di ciò che “lo Spirito suggerisce alle Chiese di oggi”? Come superare il muro di tali abitudini inveterate che, perdendo di vista l’essenziale, si attaccano mordacemente a che la processione passi in certe vie, che la benedizione alla folla non venga neanche data con il santissimo ma con la statuetta della Madonna, che non ci si discosti mai da certi canti sempre quelli? E l’ostruzionismo è evidente se non si prendono i libretti e si sta con bocche cucite! [3] Per essere concreti e propositivi: bisognerebbe far capire a una gran parte di fedeli (siano essi aderenti a devozioni private, siano quelli che sono solo cristiani domenicali) che, restando inchiodati su posizioni privatistiche, si perdono le occasioni che il treno della pastorale storica offre loro per andare oltre. Spingerli per esempio a chiedersi che ne stanno facendo del programma decennale lanciato dalla CEI con il documento “Educare alla vita buona del Vangelo”. E ora che sorte riserveranno a quel documento di “ciclonico” rinnovamento che si intitola “Evangelii gaudium”. Ma, prima ancora , che ne hanno fatto del “Concilio Vaticano II” che si è proposto esplicitamente come concilio di taglio “pastorale” e perciò teso ad un rinnovamento della prassi e approfondimento della fede. [4] Non sarà mai abbastanza avvertito il pericolo denunciato dalla CEI, di vivere con atteggiamento settario, la stessa normale vita cristiana: “Infatti lo spirito settario, cioè un atteggiamento d’intolleranza unito a un proselitismo aggressivo, non è necessariamente il fatto costitutivo di una setta’ e, in ogni caso, non è sufficiente a caratterizzarlo. Uno spirito del genere può riscontrarsi nei gruppi di fedeli appartenenti a chiese o a comunità ecclesiali.” (Magistero, Il fenomeno delle sètte o nuovi movimenti religiosi, sfida pastorale”, 1.1.,1986) Monito ripreso ad litteram dalla CEI nel documento L’impegno pastorale delle Chiesa di fronte ai nuovi movimenti religiosi e alle sette, n. 13, 1993) Come non analogare il rilievo critico che, nello stesso documento, la CEI riferisce a MRA e Sètte – ma applicabile appunto come spirito-modalità anche a devozioni private – quando dice: “In una realtà sociale complessa, in cui il debole rischia di sentirsi solo e abbandonato, è facile subire la tentazione di rifugiarsi in gruppi che si presentano con una identità ‘forte’ ed esclusivista, in cui il credo religioso e l’appartenenza comunitaria diventano strumenti di protezione dallo smarrimento psicologico e dalla insignificanza sociale.”, dalla Premessa).