Uno dei più preziosi lasciti di San Giovanni Bosco riguarda il suo contributo alla nascita delle comunicazioni sociali moderne. A metà del XIX secolo, il fondatore dei Salesiani ebbe numerose fortunate intuizioni in merito all’editoria, alla musica, al teatro, alla fotografia, che ne fanno un precursore della grande rivoluzione comunicativa che ha coinvolto la Chiesa Cattolica a partire dal Concilio Vaticano II.
Lo straordinario carisma di don Bosco, la notevole capacità di utilizzo dei mezzi di comunicazione della sua epoca non sono mai state, però, fini a se stesse, venendo per lo più concepite come strumenti a servizio del principale scopo dell’opera salesiana: l’educazione dei giovani.
Un Salesiano che ha vissuto in modo integrale entrambi questi aspetti è don Giuseppe Costa. 69 anni, originario di Gela (CL), don Costa è stato ordinato sacerdote nel 1974, diventando subito direttore di oratorio.
Negli anni, la sua esperienza editoriale, si è virtuosamente intrecciata con quella dell’insegnamento. Per nove anni direttore dell’edizione italiana del Bollettino Salesiano, don Costa è stato anche responsabile dell’ufficio stampa della sua congregazione.
Dopo aver conseguito un master in giornalismo alla Marquette University di Milwaukee, negli Stati Uniti, gli è stato affidato l’incarico di Direttore Editoriale e Marketing della SEI. Ha insegnato Teoria e Tecnica del Giornalismo e dell’Editoria presso la Pontificia Università Salesiana.
Nel 2012, papa Benedetto XVI lo ha nominato consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.
Dal 2007, don Giuseppe Costa è direttore della Libreria Editrice Vaticana, soggetto titolare dei diritti d’autore sui testi dei romani pontefici. Un settore editoriale, quello religioso, ed in particolare riguardante i papi, in costante crescita e resistente ad ogni crisi.
Nell’imminenza del bicentenario della nascita di don Bosco, il direttore della LEV ha raccontato a ZENIT, la sua precoce vocazione al carisma di don Bosco, soffermandosi anche sul privilegiato rapporto con il mondo della comunicazione che il santo piemontese coltivava.
Ci può raccontare come avvenne il suo primo incontro con i salesiani?
Conosco i Salesiani dall’età di nove anni, quindi dal 1955, anno in cui tre di loro giunsero per la prima volta a Gela, aprendovi un oratorio. Il nostro oratorio era molto ben organizzato: c’era una biblioteca dove davano i libri in prestito, si giocava con i trampoli, si pregava, si facevano gite (indimenticabile fu quella sull’Etna, nel luglio 1956); per la prima volta vedemmo le magliette delle varie squadre di calcio, che i Salesiani ci avevano portato. I Salesiani ci seguivano sia nel tempo libero che nell’attività scolastica, anche se non avevano una scuola. C’era comunque un rapporto molto personale tra il direttore dell’Oratorio e ognuno di noi e questa fu la cosa che mi più impressionò fin dall’inizio. Anche se ancora piccoli, ci sentivamo valorizzati e responsabilizzati personalmente, uno per uno; i Salesiani ci volevano sempre impegnati in qualcosa. L’Oratorio era come una grande casa, dove nel gioco, come in ogni attività, c’era una dimensione di partecipazione in cui tutti eravamo coinvolti.
Quand’è che in lei è nata la vocazione a diventare Salesiano?
Ogni sera, il direttore dell’Oratorio ci dava la “buonanotte di don Bosco”, con un buon pensiero. Un giorno ci disse: “ma voi non avete mai pensato a farvi Salesiani? Se qualcuno vuole, basta che me lo dice”. Così, io, alla fine della quinta elementare, dissi al direttore che volevo diventare Salesiano. Mi mandarono allora all’Aspirantato, dove sono rimasto cinque anni, frequentandovi la scuola media e il ginnasio. Ai tempi gli Aspirantati erano parecchio affollati e noi eravamo circa 200. La vita era ritmata dallo studio, dagli orari e dalla preghiera, il tutto in un clima familiare e di rispetto. Man mano che andavo avanti, il mio pensiero di diventare salesiano si colorava di persone, di ideali e di compiti.
L’Aspirantato aveva sede a pochi chilometri da Catania, ai piedi dell’Etna, e vi giungevano giovani da tutta la Sicilia. Tra gli aspiranti c’erano persone molto diverse tra loro e non tutti sono poi effettivamente entrati nella congregazione. La mia vocazione è maturata dunque precocemente e in tempi rapidi, in ambiente oratoriale. Con gli anni diventava poi sempre più chiaro il vero volto della mia vocazione sacerdotale. Dopo il liceo e la maturità, ho studiato filosofia e lettere con relativo tirocinio, in seguito teologia. Poi, nel 1974, è avvenuta la mia ordinazione sacerdotale.
Come è maturata, poi, la sua vocazione per l’editoria?
La mia predisposizione per l’editoria e la comunicazione è anch’essa spuntata quasi subito. In oratorio, in quegli anni, si praticava molto il teatro, si avviavano i ragazzi alla lettura (i primi romanzi per ragazzi, li lessi proprio in oratorio). Mi sono sempre quindi occupato di temi legati al mondo della comunicazione; i salesiani, del resto, incoraggiavano questa tendenza. Il passaggio al mondo editoriale è avvenuto dopo i primi tre anni di sacerdozio. Dopo l’ordinazione sacerdotale, coronai il sogno della mia vita, diventando direttore di oratorio. A Catania, nell’oratorio da me diretto, ho ‘pantografato’ le esperienze della mia fanciullezza: lì ho creato un giornale, ho organizzato campionati, ho fatto maturare i giovani verso esperienze di vita, verso l’impegno e la responsabilità.
Don Bosco è stato davvero rivoluzionario nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione della sua epoca: come si spiega questa sua speciale vocazione?
Direi che da qualunque angolo si guardi, la personalità di don Bosco era straordinariamente dotata per la comunicazione. Lo fu attraverso il gioco, il mimo, il racconto; aveva la capacità di mediare ed entrare in sintonia con i ragazzi o con le persone che lo circondavano. La sua attività nei mezzi di comunicazione iniziò molto presto, agli albori dell’industrializzazione in Piemonte. Soprattutto quando don Bosco si trasferì a Chieri, seppe cogliere i fenomeni di crescita che si verificavano nel campo della comunicazione. Già da chierico, aveva fondato la “Società dell’Allegria”, intuendo le potenzialità comunicative di arti come il teatro (lui stesso fu autore di testi teatrali e si cimentò anche in piccole recite legate alla maschera di Gianduia), che assieme alla musica e al canto entrarono presto nella sua vita. Anche la musica è sempre stata un elemento molto presente tra i Salesiani, al punto che, fino agli anni ’60, ogni oratorio aveva la sua banda. Il rapporto tra don Bosco e la musica è molto interessante: lui stesso è autori di canti religiosi, il più noto dei quali è Angioletto del mio cuore.
[La seconda parte sarà pubblicata domani, sabato 16 maggio]