"In famiglia dite sempre 'permesso, grazie, scusa'! Non per formalismo, ma per amore…"

Nell’Udienza generale, il Papa suggerisce le parole-chiave per ottenere la pace in famiglia e avverte che quando esse mancano “si aprono crepe profonde” e tutto crolla

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Le figure che compongono il nucleo familiare, Bergoglio le ha scandagliate una ad una durante le scorse Udienze generali del mercoledì: madri, padri, figli, fratelli, sorelle, nonni, parenti… Con la catechesi di oggi, prosegue il filone sulla famiglia aprendo un nuovo capitolo, o meglio “la porta d’ingresso di una serie di riflessioni sulla vita della famiglia, la sua vita reale, con i suoi tempi e i suoi avvenimenti”.

Su questa porta – spiega il Papa – ci sono tre parole, a lui molto care, già utilizzate nella grande udienza del 14 febbraio 2014 con i fidanzati e futuri sposi d’Italia, a cui spiegava come condurre una vita matrimoniale in senso cristiano. 

“Permesso?”, “grazie”, “scusa”: tre parole “semplici”, osserva Bergoglio, ma “non così semplici da mettere in pratica!”. Esse – evidenzia -“aprono la strada per vivere bene nella famiglia, per vivere in pace”, perché “racchiudono una grande forza: la forza di custodire la casa, anche attraverso mille difficoltà e prove”. La loro mancanza, invece, “a poco a poco apre delle crepe che possono farla persino crollare”.

“Permesso, grazie, scusa” sono inoltre tre parole che “intendiamo normalmente come le parole della ‘buona educazione’”, prosegue il Pontefice. E “va bene… La buona educazione è molto importante”, o come predicava san Francesco di Sales, “è già mezza santità”. Però, attenzione – ammonisce il Santo Padre – perché il “formalismo delle buone maniere” può diventare anche una “maschera che nasconde l’aridità dell’animo e il disinteresse per l’altro”.

“Dietro tante buone maniere si nascondono cattive abitudini”, afferma infatti la saggezza popolare. Il Papa è d’accordo e avverte che “nemmeno la religione è al riparo da questo rischio, che fa scivolare l’osservanza formale nella mondanità spirituale”. “Il diavolo che tenta Gesù sfoggia buone maniere e cita le Sacre Scritture”, con un stile che “appare corretto”, quasi sembrando  “un teologo”; l’intento però è “di sviare dalla verità dell’amore di Dio”. “Noi invece – sottolinea Francesco – intendiamo la buona educazione nei suoi termini autentici, dove lo stile dei buoni rapporti è saldamente radicato nell’amore del bene e nel rispetto dell’altro”. E “la famiglia vive di questa finezza del voler bene”.

Il Papa si sofferma quindi sulla prima parola, “permesso?”, spiegando che “quando ci preoccupiamo di chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere, noi poniamo un vero presidio per lo spirito della convivenza matrimoniale e famigliare”. “Entrare nella vita dell’altro – soggiunge – anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto. La confidenza, insomma, non autorizza a dare tutto per scontato”. Soprattutto se c’è di mezzo “l’amore”, che “quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore”. Dio stesso “chiede il permesso per entrare!”, rammenta il Pontefice. E a braccio aggiunge: “‘Prima di fare una cosa in famiglia: ‘Permesso, posso farlo? Ti piace che io faccia così?’. Quel linguaggio proprio educato ma pieno d’amore. E questo fa tanto bene alle famiglie”.

Passa poi ad analizzare la seconda parola “grazie”: “Certe volte – osserva il Santo Padre – viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione. Le sentiamo dire tante volte anche pubblicamente”. Spesso “la gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza”, suscitando a volte addirittura “diffidenza”. Una tendenza, questa, che, secondo il Vescovo di Roma, “va contrastata nel grembo stesso della famiglia”, dove invece “dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza”, perché “la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe di qui”. 

“Se la vita famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà”, chiosa il Papa. Inoltre, soggiunge, non bisogna dimenticare che “la gratitudine per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio”.  A braccio, ricorda le parole di “una persona anziana, molto saggia, molto buona, semplice, ma con quella saggezza della pietà, della vita…”, che diceva: “La gratitudine è una pianta che cresce soltanto nella terra delle anime nobili. Quella nobiltà dell’anima, quella grazia di Dio nell’anima ci spinge a dire: ‘Grazie alla gratitudine’. È il fiore di un’anima nobile”. 

E se dire “grazie” è difficile, ancora più complicato è chiedere “scusa”, osserva il Papa. Una parola – dice – “così necessaria” che “quando manca, piccole crepe si allargano – anche senza volerlo – fino a diventare fossati profondi”.  “Riconoscere di aver mancato, ed essere desiderosi di restituire ciò che si è tolto – rispetto, sincerità, amore – rende degni del perdono”, asserisce Bergoglio. Non solo: “se non siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare”. Chiedendo “scusa” è perciò possibile fermare “l’infezione” che, dalla famiglia, si dilaga nella società. Di contro “nella casa dove non ci si chiede scusa incomincia a mancare l’aria, le acque diventano stagnanti”.

“Tante ferite degli affetti, tante lacerazioni nelle famiglie incominciano con la perdita di questa parola preziosa: ‘Scusami’. Nella vita matrimoniale si litiga tante volte… anche ‘volano i piatti’, ma vi do un consiglio: mai finire la giornata senza fare la pace”, ribadisce il Papa. E, spontaneamente, incalza: ““Sentite bene: avete litigato moglie e marito? Figli con i genitori? Avete litigato forte? Ma non sta bene. Ma non è il problema: il problema è che questo sentimento sia presente il giorno dopo. Per questo se avete litigato mai finire la giornata senza fare la pace in famiglia. E come devo fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una cosina così. E l’armonia familiare torna, eh! Basta una carezza! Senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace. Capito questo? Non è facile, eh! Ma si deve fare. E con questo la vita sarà più bella”.

Attenzione, allora, a tutelare questre tre parole-chiave della famiglia, che la nostra educazione spesso “trascura”. È vero “sono parole semplici, e forse in un primo momento ci fanno sorridere”, ma quando le dimentichiamo, “non c’è più niente da ridere”. Francesco invita pertanto tutti i fedeli che gremiscono la piazza a ripetere insieme “permesso, grazie, scusa”, quasi come una preghiera al Signore affinché “ci aiuti a rimetterle al giusto posto, nel nostro cuore, nella nostra casa, e anche nella nostra convivenza civile”.

Per leggere il testo completo della catechesi si può cliccare qui.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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