Quando si legge una narrazione di un evento, a volte si parte da un assunto abbastanza ingenuo: che la narrazione è “oggettiva”. In realtà, per quanto un narratore voglia essere “oggettivo”, è pur sempre un “soggetto” che narra un evento dal proprio punto di vista. Non potrebbe fare altrimenti! Newman diceva: «Se non faccio uso del mio io, cos’altro mi rimane da usare?». Questo fatto non dà necessariamente spazio all’estrema conclusione nietzschiana: «Non ci sono fatti, solo interpretazioni», ma ci apre a una dimensione fondamentale e imprescindibile del racconto: il punto di vista. Tale aspetto ci permette di cogliere il senso e la legittimità della diversità tra i quattro vangeli. Ed è precisamente di questo tema che parla il libretto di Daniel Marguerat, Il punto di vista. Sguardo e prospettiva nei racconti dei vangeli, per il tipi della EDB.
L’autore spiega da subito che è scontato dire che «in una narrazione, gli avvenimento della storia raccontata (la fabula) non sono presentati in una prospettiva neutrale, ma da un’angolazione particolare». In ogni narrazione esiste una scelta previa che determina la messa in racconto, una scelta simile all’angolatura scelta da un fotografo per scattare una foto. Parimenti, ciascun vangelo si distingue per la sua «cristallizzazione narrativa del punto di vista di un narratore».
P. Lubbock definisce il punto di vista come «il rapporto che il narratore ha con la storia raccontata». Un esempio è la prospettiva e l’atteggiamento che ogni evangelista si assume nei confronti dei giudei: Marco assume un atteggiamento critico e distanziato; Matteo un’attitudine ostile; Giovanni, invece, fa dei giudei un’entità massificata tutta aggressiva e contraria a Gesù.
Per cogliere la portata del punto di vista, B. Uspensky parla di cinque dimensioni: spaziale, temporale, psicologica, fraseologica e ideologica.
– La dimensione spaziale esprime la prospettiva in cui si colloca il narratore. È la posizione dove si pone per narrare un avvenimento.
– La dimensione temporale è la scelta di narrare l’evento in fieri o come evento passato.
– La dimensione psicologica parte dalla dimensione del sentire dei soggetti, una dimensione in realtà invisibile a chi sarebbe lì ad assistere alla scena. Un esempio sarebbe quello di narrare il pensiero (non proferito) di un soggetto.
– La dimensione fraseologica dove è inevitabile che il punto di vista del narratore impregni il discorso riferito dai personaggi.
– La dimensione ideologica – e il termine non deve essere frainteso come propaganda ideologica – esprime l’idea, la visione e la struttura che il narratore aprioristicamente vuole portare avanti. Così nel vangelo di Giovanni, ad esempio, la figura del discepolo amato riesce da sola ad evocare un ambiente e un’atmosfera particolare che si manifesta man mano che la narrazione avanza.
L’evento narrativo ci pone dinanzi al testo non come meri spettatori davanti a un evento neutro, ma ci invita a leggere l’autore nel testo, ad ascoltare l’autore mentre ascoltiamo ciò che riporta dei personaggi e degli eventi. La lettura diventa un’esperienza poliedrica di comunione e di incontro con le diverse regie offerte dai diversi autori sapendo che «la regia narrativa, e in questo caso specifico la scelta del punto di vista, si mette al servizio della reazione alla lettura del racconto che il narratore intende provocare nei suoi lettori».
Giova, infine, segnalare che il punto di vista e la prospettiva possono variare anche in un unico testo narrativo. Un esempio fra i tanti è la parabola di Lazzaro e il ricco. Mentre la prima parte della parabola fissa le sue videocamere su Lazzaro, la seconda parte – che riprende le scene post-mortem – si focalizza sul ricco e sul suo grido verso Abramo da cui è separato da un abisso invalicabile.
La riflessione di Marguerat ci rammenta che non c’è racconto senza punto di vista perché non c’è racconto senza soggetto narrante. Ogni narrazione implica varie scelte ed entrare nel racconto richiede l’oculatezza di con-sentire con il narratore.