Negli anni bui del regime comunista in Ungheria il Servo di Dio József Mindszenty, per trent’anni arcivescovo di Esztergom e primate d’Ungheria, fu la “coscienza viva del suo popolo”. Così il segretario di Stato Pietro Parolin ha ricordato la grande figura del cardinale ungherese nella Messa di ieri sera per i 40 anni dalla scomparsa, presso la Chiesa romana di Santo Stefano Rotondo al Celio. Con lui, ha concelebrato il cardinale Péter Erdő, primate d’Ungheria.
Nella sua omelia – come riferito dalla Radio Vaticana – Parolin ha rievocato le grandi difficoltà incontrate dal porporato, che conobbe il carcere già nel 1944 sotto il breve governo filonazista del Paese, e che “poté liberamente esercitare il suo ufficio” di arcivescovo di Esztergom “per soli tre anni”.
Come primate, Mindszenty “si sentiva investito di una grande responsabilità verso tutto il popolo ungherese” – ha sottolineato il Segretario di Stato – e in più occasioni disse di voler essere “un buon Pastore che, se è necessario, dà la sua vita per le pecore”.
Egli, ha proseguito, “ha visto il grande pericolo del comunismo e cercò di rafforzare il suo popolo attraverso l’esempio. Vedendo la disperazione degli abitanti del Paese e la crescente pressione da parte del regime, annunciò un programma pastorale per la nuova evangelizzazione dell’Ungheria. Incoraggiò inoltre la preghiera incessante, basata sui valori dell’amore per Dio e per il prossimo, promuovendo la devozione mariana, per cui indisse anche un anno mariano, favorendo la devozione a Santo Stefano e ai santi ungheresi. Con le sue lettere pastorali ed omelie predicò contro ogni ingiustizia, richiedendo una vita pubblica e familiare secondo i principi morali cristiani”.
Forse – ha affermato il cardinale Parolin – “all’inizio del suo ministero non aveva ancora la massima chiarezza su come si sarebbero in breve tempo adempiute le parole da lui pronunciate durante la sua presa di possesso”. József Mindszenty doveva seguire “il Buon Pastore nella via della sofferenza e diventare letteralmente la coscienza viva del suo Popolo, non solo con le parole, ma ancora di più col suo silenzio, imposto dal regime”:
Il giorno di Natale del 1948 fu quindi arrestato e due mesi dopo, nonostante le proteste di Papa Pio XII, venne condannato all’ergastolo con l’accusa di cospirazione tesa a rovesciare il governo comunista. “Durante gli anni silenziosi, passati in carcere, e dopo, negli anni che trascorse in esilio, diventò un simbolo della Chiesa perseguitata, della Chiesa dolente, della Chiesa di tanti martiri e confessori della fede, che soffrivano sotto la dittatura nei paesi comunisti e in particolare in Ungheria”, ha evidenziato il Segretario di Stato vaticano.
Anche oggi, ha soggiunto, che è ormai caduto da decenni il muro di Berlino che ha diviso l’Europa in due parti, “vi sono pericoli, laddove è presente la sofferenza e l’ingiustizia”. Quindi – ha concluso Parolin, citando le parole di Papa Francesco – “la nostra preghiera si fa ancora più intensa e diventa un grido di aiuto al Padre ricco di misericordia, perché sostenga la fede di tanti fratelli e sorelle che sono nel dolore, mentre chiediamo di convertire i nostri cuori per passare dall’indifferenza alla compassione”.