Trentadue nuove reclute hanno gridato forte la loro promessa di servire e di dare la propria vita per il Papa, ieri pomeriggio, nella cerimonia di Giuramento Guardia Svizzera svoltasi nel cortile di San Damaso del Palazzo apostolico in Vaticano. La cerimonia si svolge il 6 maggio per commemorare i 147 confederati che, 488 anni prima, durante il Sacco di Roma del 1527, morirono per salvare Papa Giulio II.
<p>”Desideriamo svolgere con coscienza e fedeltà il compito che ci è stato affidato ben cinquecento anni fa”, ha ricordato infatti il comandante Cristoph Graph nel suo discorso – riportato da L’Osservatore Romano -, pronunciato ieri alla presenza dell’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato.
Nella Guardia Svizzera – ha aggiunto – “non abbiamo bisogno di soldati che vogliono venire tra noi solo per il gusto, per il mestiere delle armi”, ma anzi “abbiamo bisogno di guardie che hanno i piedi per terra e si comportano, durante il servizio e il loro tempo libero, come dei veri cristiani”. Il servizio della guardia svizzera deve essere infatti percepito come di “un soldato di pace e di fede”, impegnato non soltanto a proteggere la vita del Pontefice, ma anche a “difendere la Chiesa e il suo insegnamento, quello che rappresenta oggi una grande sfida”.
“Diversi eventi ci hanno dimostrato che di questi tempi la questione della sicurezza non va sottovalutata”, ha rimarcato Graph, ricordando alle reclute che, attraverso la loro missione, hanno “la grande occasione di incontrare milioni di pellegrini nei nostri posti di servizio, specialmente agli ingressi della Città del Vaticano o durante le udienze con il Santo Padre”.
Sempre alle nuove leve si è rivolto anche il cappellano del corpo, Pascal Burri, il quale – richiamando l’esperienza dei profeti che, secondo la parola di Michea, “trasformeranno le loro lance in falci” – ha detto che le guardie sono coloro che trasformano la lancia, l’alabarda, in uno strumento pacifico.
“Sei proprio il militare che applica questa profezia!”, ha affermato Burri rivolgendosi idealmente a ciascuno di loro. “Dell’alabarda, arma di guerra hai fatto un segno di pace. Con l’alabarda, saluti tutti a nome del successore di Pietro, dai il benvenuto nella sua dimora a tutti, a tutti senza eccezione alcuna: saluti porporati e non porporati, ricchi e poveri, cattolici e non cattolici, cristiani e non cristiani, credenti e atei, amici e nemici”.
Alla cerimonia – riferisce ancora L’Osservatore Romano – erano presenti diversi cardinali, tra questi: Koch, Harvey, Vegliò, Calcagno, Comastri, Müller, Bertello. Presenti anche gli arcivescovi Gänswein e Krajewski; i vescovi Büchel, Lovey e De Raemy; i monsignori Bettencourt e Karcher; il consigliere federale Alain Berset, rappresentante della Confederazione elvetica; Claude Hêche, presidente del Consiglio degli Stati della Confederazione elvetica; Pierre-Yves Fux, ambasciatore della Svizzera presso la Santa Sede; il comandante di corpo André Blattmann, capo dell’esercito svizzero; i membri del Governo del Cantone del Vallese.
Nella mattinata di ieri, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin aveva celebrato una Messa in San Pietro per l’evento. Anche il porporato – riporta la Radio Vaticana – si è soffermato sul compito della guardia, che, come ha detto nell’omelia, “non è un mestiere, ma una missione, non un lavoro, ma una vocazione”.
Parolin ha poi incoraggiato le nuove reclute non accontentarsi “delle cose mediocri, effimere” e ad impegnarsi “con l’entusiasmo dei giovani per le cose grandi, vere, per il Signore, che è la sorgente e il fondamento di tutto”. “Prestando il vostro prezioso servizio – ha soggiunto – non contano solo le vostre capacità e competenze, pure importanti. Il fondamento portante, la base, è la fede nella presenza e nell’aiuto del Signore, solo con Cristo il servizio porta crescita e da frutto, altrimenti sarebbe un funzionamento da macchina senza vita senza crescita e senza futuro”.