Se ci si sofferma a riflettere sulle parole di Papa Francesco, al là della spontanea bonomia che caratterizza lo stile pastorale del Santo Padre, pare a volte di scorgere un valore quasi di parabola. Un significato profondo che riequilibra la gerarchia dei valori, troppo spesso alterata dalle fuorvianti rappresentazioni che caratterizzano la cultura materialistica contemporanea.
Prendiamo il caso di un “neologismo” oggi divenuto di moda: la parola “rottamazione”, riferita non già a macchinari e strumenti meccanici, ma a persone reali che vengono espulse dal sistema produttivo. Come se un inesorabile “orologio biologico” avesse di colpo azzerato il loro patrimonio di esperienze, professionalità e competenze.
L’ansia “rottamatoria” nei confronti dei lavoratori un po’ avanti con gli anni si sta diffondendo ovunque nella società. Un’ideologia che avanza in nome di discutibili ragioni economiche, spezzando quella linea di continuità generazionale che veniva considerata, da sempre, un’importante cinghia di trasmissione della cultura.
È l’ideologia dell’uomo-macchina che impone le sue regole. In modo assai simile alla vita di un motore, dove cilindri, bielle e pistoni perdono di efficienza con l’aumentare del chilometraggio e richiedono d’essere sostituiti o, meglio ancora, d’essere “rottamati”.
Per una spontanea associazione di idee, ci viene da pensare alle parole di papa Francesco, pronunciate qualche giorno fa nel corso della sua visita pastorale ad Ostia. Bergoglio si è intrattenuto con un gruppo di giovani complimentandosi con loro per non aver ceduto alla tentazione di “andare in spiaggia”, preferendo incontrare il Papa. Poi si è rivolto alle famiglie ricordando l’importanza del cammino di fede che i genitori devono compiere insieme ai bambini. Infine ha portato parole di conforto agli anziani, elogiando la “saggezza della vita”, la “saggezza del dolore”, che oggi si tende a dimenticare.
Bambini, giovani, anziani… In questa attenzione di Bergoglio a tutte le stagioni della vita, a noi pare di scorgere quel valore di “parabola” al quale accennavamo in apertura: esempi tratti dalla realtà vissuta che illustrano una verità e dispensano un insegnamento morale.
Vediamo ora come si declinano le “stagioni della vita” nell’universo simbolico della poesia. Iniziamo con un classico della letteratura, un componimento celeberrimo che potremmo quasi definire un inno alla gioventù: I ragazzi che si amano di Jacques Prévert. Una poesia che il poeta concepì volutamente priva di punteggiatura, quasi a rappresentare il travolgente andamento privo di cesure che caratterizza i brevi momenti della giovinezza.
I RAGAZZI CHE SI AMANO
I ragazzi che si amano si baciano in piedi
contro le porte della notte
e i passanti che passano li segnano a dito
ma i ragazzi che si amano
non ci sono per nessuno
ed è la loro ombra soltanto
che trema nella notte
stimolando la rabbia dei passanti
la loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
i ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
essi sono altrove molto più lontano della notte
molto più in alto del giorno
nell’abbagliante splendore del loro primo amore
Jacques Prévert (1900-1977)
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Vediamo ora come vive il poeta la stagione che arriva in fretta: il dileguarsi della giovinezza. L’autore che abbiamo scelto è, anche in questo caso, un grande della letteratura, Gabriele D’Annunzio, che affida le sue emozioni ad un componimento dal tono pensoso, denso di sottile malinconia. Dove l’addio a ciò che si perde è tuttavia compensato da una più matura coscienza di se stessi, e da una rinnovata attitudine dell’anima, divenuta “più buona, / come il frutto maturo”.
O GIOVINEZZA!
O Giovinezza, ahi me, la tua corona
su la mia fronte già quasi è sfiorita.
Premere sento il peso de la vita,
che fu sì lieve, su la fronte prona.
Ma l’anima nel cor si fa più buona,
come il frutto maturo. Umile e ardita,
sa piegarsi e resistere; ferita,
non geme; assai comprende, assai perdona.
Dileguan le tue brevi ultime aurore,
o Giovinezza; tacciono le rive
poi che il torrente vortice dispare.
Odo altro suono, vedo altro bagliore.
Vedo in occhi fraterni ardere vive
lacrime, odo fraterni petti ansare.
Gabriele D’Annunzio (1863-1938)
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E concludiamo con una bella poesia di un autore contemporaneo, Giovanni Formaggio, che ben interpreta quel senso di continuità tra le stagioni della vita, di cui parlavamo all’inizio di queste riflessioni. Vi si respira un senso d’amore e di rispetto, che trova la sua limpida espressione nel verso finale, dedicato al legame esistenziale che tutti ci unisce: “Se siete qui è perché loro hanno soprattutto amato”.
I VOSTRI VECCHI
Guardate gli occhi dei vostri vecchi.
Oggi portano i colori dell’autunno
ma ieri hanno donato sguardi
vivi come bacche di agrifoglio
teneri come fiori di biancospino.
Guardate le mani dei vostri vecchi.
Oggi contano i giorni sulle ginocchia
ma ieri hanno lottato, costruito
seminato carezze
momenti di sole…
Guardate i passi dei vostri vecchi.
Oggi avanzano lenti, discreti come ombre
ma ieri hanno percorso pianure di speranze
sudato lungo vicoli arroganti del dolore.
Caduti si sono rialzati…
Guardateli e aspettateli i vostri vecchi
prima che il tramonto li porti via.
Se siete qui è perché loro hanno soprattutto amato.
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Giovanni Formaggio è nato nel 1939 ad Asigliano Veneto (Vicenza) e vive a Pero in provincia di Milano. Ha pubblicato diverse raccolte poetiche, che hanno ottenuto riconoscimenti letterari e traduzioni all’estero. Una selezione delle sue opere è pubblicata sul sito Internet www.paroledipoesia.net.
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