Dopo aver fatto parlare molto di sè per la forte prefazione di Papa Francesco, è stato finalmente presentato ieri, martedì 25 febbraio, a Roma presso la Sala San Pio X, il libro del neo cardinale Gerhard Muller “Povera per i poveri. La missione della Chiesa”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana. A presentare il volume del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede c’erano padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, il card. Óscar Rodríguez Maradiaga, coordinatore del C8, il Consiglio di cardinali per la riforma della Curia romana, e padre Gustavo Gutiérrez, fondatore della Teologia della Liberazione.
Ha aperto l’incontro padre Lombardi che ha specificato come il libro sia una raccolta di scritti vecchi e nuovi composti dal porporato con un significativo contributo di Gustavo Gutiérrez e la conclusione di Josef Sayer nella quale si racconta come sia nato l’interesse e l’impegno di Muller per i poveri e per l’America Latina attraverso l’incontro con Gutiérrez nel 1998.
Ha preso poi la parola il card. Maradiaga che, sottolineando come l’espressione “povera per i poveri” ricordi Giovanni XXIII, si è domandato quale sia l’anello di collegamento fra il teologo Muller e i poveri e ha illustrato come questo anello sia Gutiérrez, senza la sua Teologia della liberazione, Muller non si sarebbe avvicinato ai poveri di Lima.
Il porporato ha poi spiegato come la chiesa abbia senza dubbio una missione liberatrice verso tutto ciò che opprime l’uomo come l’ingiustizia e il peccato. Muller non ha solo riflettuto sulla povertà, ma ha sperimentato di persona la gioia della fede della popolazione del Perù, anche nelle condizioni economicamente più sfavorevoli. Gesù, ha proseguito, non è il predicatore di una mistica distaccata dal mondo, ma nella sua persona c’è una sintonia fra trascendente e immanente. La prassi liberatrice dei cristiani è la civiltà dell’amore nella quale non ci può essere nessuno spazio per la violenza.
La parola è poi passata al teologo Gutiérrez che ha concentrato la sua attenzione sul concetto di “chiesa samaritana”. Questa frase è per il teologo peruviano una sintesi dell’idea di servizio, tema molto presente durante il Concilio. Per capire quest’epressione bisogna guardare alla parabola del “buon samaritano”. Un dottore della legge chiede a Cristo: “Chi è il mio prossimo?” La risposta che Gesù offre non è concettuale, ma è data attraverso un racconto. Alla fine di questa narrazione Gesù domanda chi dei tre protagonisti della parabola sia stato prossimo di colui che è caduto? Si passa dunque dall’iniziale domanda “Chi è il mio prossimo?” al conclusivo quesito “Chi si è fatto prossimo?”.
Qual è il senso di ciò? Significa che il prossimo è colui che si avvicina, colui che attraverso gesti e movimenti si rende vicino a chi è lontano. Prossimo non è la persona che incontriamo, ma quella alla quale ci avviciniamo, lasciando il nostro cammino. Chi fa questo è il prossimo.
L’uomo ferito della parabola non ha identità, non si sa se sia un samaritano, se sia buono oppure cattivo. Il samaritano sa solo che è bisognoso e si accosta a lui perchè ha compassione. Solo a questo punto possiamo dire che anche il ferito è diventato prossimo. Lo è diventato per la compassione del samaritano.
La parabola è esigente perché sarebbe facile dire che il prossimo è qualcuno della mia famiglia, un collega di lavoro ecc. “Chiesa samaritana” dunque vuol dire Chiesa in movimento, che esce da sé, che è in uscita, che non è autoreferenziale. Tutto ciò è il fondamemto dell’opzione preferenziale per i poveri.
L’incontro si è concluso con l’intervento dell’autore, il cardinale Muller, il quale ha illustrato il percorso che lo ha portato ad avere questa particolare sensibilità verso il tema della povertà. Una percorso che affonda le sue radici nelle sue umili origini, da un padre operaio della Opel e da una madre casalinga che doveva badare a cinque figli. Il Prefetto del Sant’Uffizio ha ricordato inoltre come la città nella quale viveva, Magonza, sia stata la sede del vescovo Emmanuel von Ketteler, considerato uno dei padri fondatori della dottrina sociale della Chiesa.
Ha quindi raccontato come la sua famiglia cercò di aiutare nel dopoguerra altre famiglie in difficoltà. Divenuto professore di religione nei licei si rese conto che era necessario contrastare non solo la povertà materiale, ma anche quella spirituale. Durante la metà degli anni Ottanta ha cercato di vivere in mezzo ai poveri, i quali – ha detto – non avevano i mezzi di prima necessità, nè cibo, nè acqua, tantomeno vestiti o cure mediche degne di essere definite tali. Eppure, ha detto il cardinale, mostravano una gioia e una fede viva, abbandonarsi alla divina providenza, sapendo di essere del tutto bisognosi e dipendenti da Dio.
Durante il suo episcopato nella città di Ratisbona, Muller ha poi avuto modo di conoscere tanti sacerdoti provenienti dai paesi più poveri del mondo. Da queste esperienze il prefetto ha maturato la convinzione che essere poveri di spirito significa rifiutare l’idea di una chiesa separata dal mondo e autosufficiente, perché la chiesa è sacramento di salvezza per gli uomini e fra gli uomini e la sua azione non può che essere allo stesso tempo evengelizzatrice e liberatrice.
Al termine della conferenza, ha preso la parola il presidente della Conferenza Episcopale del Perù, mons. Salvador Piñeiro García-Calderón, che, “dopo la berretta rossa”, ha voluto donare al cardinale Muller un altro “segno di riconoscimento”: un caratteristico poncho dei contadini poveri delle Ande, a cui il cardinale ha dato voce con il suo libro.