"Amo essere un pastore che sta in mezzo alle pecore"

L’arcivescovo di Managua, Leopoldo José Brenes Solórzano, racconta l’emozione della sua nomina cardinalizia e i suoi rapporti con gli ultimi due papi

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Da sabato scorso, l’arcivescovo di Managua, capitale del Nicaragua, Leopoldo José Brenes Solórzano, è un cardinale della Chiesa di Roma. Attraverso il Concistorio e l’imposizione della berretta rossa per mano di papa Francesco, Brenes è così diventato, assieme ad altri 18, membro del collegio cardinalizio.

Durante il pomeriggio di sabato, hanno avuto luogo le tradizionali visite di cortesia durante le quali i nuovi cardinali salutano i familiari, gli amici e i fedeli. In Aula Paolo VI si è respirata un’atmosfera di festa, con i presenti che si avvicinavano ai nuovi porporati per porgere le loro congratulazioni e scattarsi fotografie insieme a loro.

ZENIT ha parlato con il cardinale Brenes per commentare la sua esperienza di sabato scorso, i suoi rapporti con papa Francesco quando era il cardinale Bergoglio e le sue impressioni alla vista del papa emerito al Concistoro di sabato.

“Francesco è un lavoratore instancabile, ha coordinato la redazione del documento di Aparecida e ci ha fatto lavorare alacremente. A volte nemmeno dormiva per lavorare. Casualmente una mattina stavo per entrare in cappella e lui usciva dalla sala degli atti. Gli dissi: ‘eminenza, arrivo subito’. E lui: ‘no, appena esco, vado a pranzare’. Tutta la notte la trascorreva a lavorare. È un uomo molto vicino alla gente”, ha detto il porporato nicaraguense.

Brenes ha anche raccontato come in questi giorni di lavoro durante il Concistoro straordinario sulla famiglia, il Papa “ci ha dato un esempio di vera umiltà”. Il cardinale ritiene che Francesco sia “un uomo che sta segnando un’epoca per noi vescovi. Si parlava dei cardinali come dei ‘principi della Chiesa’ ma oggi (sabato, ndt) il Santo Padre ci ha detto che dobbiamo essere pastori che stanno davanti alle pecore, dietro a loro e in mezzo a loro”. Rispetto a questa idea, il cardinale di Managua ha raccontato di aver detto al Papa che gli piace essere un pastore che sta nel mezzo, “perché quando uno sta in mezzo, condivide con la gente tutta la sua esperienza”. Scherzando, ha aggiunto che “come la gente porta cibo, bibite e dolci, anche qui il pastore approfitta per mangiare bene ed essere ben accompagnato”, provocando il riso di Francesco.

Sull’esperienza vissuta sabato scorso, il nuovo porporato afferma che è stata “una bellissima esperienza. Ringrazio il Signore, non mi aspettavo che sarei stato nominato cardinale, visto che il Nicaragua già ne ha uno. Ciononostante, il Signore si è fidato della mia persona. Il Santo Padre è stato ispirato dallo Spirito Santo ed eccoci qua, come dico io per infondere entusiasmo in questa nuova evangelizzazione e fare della Chiesa pellegrina in America Latina e nel mondo di oggi, una Chiesa che viva in stato permanente di missione”.

Quando gli chiediamo della situazione attuale nel suo paese e delle principali sfide che si stanno vivendo, il cardinale Brenes ha spiegato che “stiamo lavorando con la gioventù e con i bambini ma stiamo anche dando impulso perché in ogni parrocchia via siano equipe di animazione missionaria. Oggi tutte le nostre diocesi vivono in questo stato permanente di missione, dicendo e facendo quello che Aparecida ci stava spingendo a fare della Chiesa, una Chiesa di discepoli e missionari di Gesù Cristo”. Il cardinale ci ricorda che da poco sono stati celebrati i cent’anni della provincia ecclesiastica delll’arcidiocesi di Managua e racconta che il lavoro che hanno fatto è nell’ambito dell’evangelizzazione.

Con emozione il cardinale Brenes ci parla anche dell’incontro a sorpresa con il papa emerito Benedetto XVI durante il Concistorio. “Quando l’ho visto mi sono spaventato”. Il cardinale di Managua racconta di essere stato nominato vescovo l’1 aprile 2005, quando papa Giovanni Paolo II era in agonia, prossimo a morire nel giro di alcune ore. In seguito Benedetto XVI, diventato il nuovo pontefice, lo aveva invitato a venire a Roma con lui, il successivo 29 luglio, per l’imposizione del pallio episcopale. “Io avuto molta attenzione nei suoi confronti e so anche che lui sentiva molto la mia vicinanza. Nel 2007 venni a parlare con lui e i segretari mi dissero: ha 15 minuti, di modo che lei possa parlare 8 minuti e il Papa 7 minuti. Ciononostante, quando mi sono trovato nel suo ufficio, abbiamo parlato per 35 minuti, in un ambiente molto accogliente”.

Ci racconta, poi, che sabato mattina, quando è andato a salutarlo, gli ha detto: “si ricorda che lei mi ha imposto il pallio? E lui mi ha risposto: “sì, proprio lì, nove anni fa”. Il papa emerito gli ha fatto le sue congratulazioni per questa nuova sfida e gli ha promesso la sua preghiera, la sua vicinanza e gli ha anche chiesto di pregare con lui. “Il Santo Padre Benedetto è stato un uomo molto vicino a me”.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Luca Marcolivio]

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Rocío Lancho García

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