È “pazienza” la parola chiave dell’omelia di Papa Francesco nella Messa di oggi a Santa Marta. Quella pazienza che però “non è rassegnazione”, ma l’atteggiamento del popolo di Dio “che sopporta con fede le prove quotidiane della vita” e che è il motore che “fa andare avanti la Chiesa”. Il Papa prende spunto dalla Lettera di Giacomo, in cui l’apostolo dice: “Considerate perfetta letizia, quando subite ogni sorta di prove”. “Sembra un invito a fare il fachiro”, commenta Bergoglio; ma, al di là dell’ironia, non è questo il messaggio. Bensì che la pazienza è una virtù, è sopportare le prove, è fare “le cose che noi non vogliamo”, e questo – sottolineato il Pontefice – “fa maturare la nostra vita”.
“Chi non ha pazienza – spiega infatti – vuole tutto subito, tutto di fretta. Chi non conosce questa saggezza della pazienza è una persona capricciosa, come i bambini che sono capricciosi”. La persona che non ha pazienza è quindi “una persona che non cresce, che rimane nei capricci del bambino, che non sa prendere la vita come viene: o questo o niente”. E “diventare capricciosi”, rimarca Francesco, “è una delle tentazioni”.
L’altra è “l’onnipotenza”, cioè pretendere di ottenere subito una cosa, come i farisei del Vangelo di oggi che chiedono a Cristo un segno dal cielo, quasi fosse “uno spettacolo, un miracolo”. Essi, dice il Santo Padre, “confondono il modo di agire di Dio con il modo di agire di uno stregone. E Dio non agisce come uno stregone, Dio ha il suo modo di andare avanti”. Anche Dio “ha pazienza”: “Con quanta pazienza” il Signore “ci porta sulle sue spalle”, sospira il Papa. Lo dimostra il “sacramento della riconciliazione”, in cui “cantiamo un inno alla pazienza di Dio!”.
“La vita cristiana – esorta, dunque, il Vescovo di Roma – deve svolgersi su questa musica della pazienza, perché è stata proprio la musica dei nostri padri, del popolo di Dio, quelli che hanno creduto alla Parola di Dio, che hanno seguito il comandamento che il Signore aveva dato al nostro padre Abramo: Cammina davanti a me e sii irreprensibile”.
Come riferisce la Lettera agli Ebrei, il popolo di Dio “ha sofferto tanto, sono stati perseguitati, ammazzati”, ma è stato ricompensato poi con “la gioia di salutare da lontano le promesse” del Signore. Proprio questa è la pazienza “che noi dobbiamo avere nelle prove: la pazienza di una persona adulta, la pazienza di Dio”, ribadisce il Pontefice.
“Ancora adesso”, soggiunge, “quanto paziente è il nostro popolo!”: “Quando andiamo nelle parrocchie e troviamo quelle persone che soffrono, che hanno problemi, che hanno un figlio disabile o hanno una malattia, ma portano avanti con pazienza la vita”. Queste persone, al contrario dei farisei, non dicono “dateci un segno!”, ma – osserva Francesco – “sanno leggere i segni dei tempi: sanno che quando germoglia il fico, viene la primavera; sanno distinguere quello”. Invece, “questi impazienti del Vangelo di oggi, che volevano un segno, non sapevano leggere i segni dei tempi, e per questo non hanno riconosciuto Gesù”.
Sia lodata allora la “gente del nostro popolo, gente che soffre, che soffre tante cose, ma non perde il sorriso della fede, che ha la gioia della fede”. È questa gente “che porta avanti la Chiesa, con la sua santità, di tutti i giorni, di ogni giorno”, assicura Bergoglio.
Le parole della Lettera di Giacomo risultano più che mai chiare: “Fratelli, considerate perfetta letizia, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza e la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti ed integri, senza mancare di nulla” (Gc 1, 2-4). “Che il Signore – è quindi l’auspicio del Pontefice – ci dia a tutti noi la pazienza, la pazienza gioiosa, la pazienza del lavoro, della pace, ci dia la pazienza di Dio, quella che Lui ha, e ci dia la pazienza del nostro popolo fedele, che è tanto esemplare”.