Si avvicina il giorno in cui il Vescovo di Roma imporrà la berretta cardinalizia ai nuovi membri di quel collegio che per sua missione è chiamato ad essere “cardine” di consiglio e di collaborazione intorno a lui. La già significativa composizione dell’elenco dei nuovi Cardinali, fortemente aperta alla mondialità, si arricchisce di alcune scelte di valore intensamente simbolico. Fra queste ce n’è una che merita di essere particolarmente considerata: quella del novantanovenne Arcivescovo Loris Francesco Capovilla, che fu segretario di Papa Giovanni XXIII.
Attesa l’età del neo-porporato, è evidente che la scelta – oltre a riconoscerne i meriti di fedeltà al Signore e alla Chiesa – ha un significato più ampio. Per coglierlo occorre partire dalla sera dell’11 Ottobre 1962, giorno dell’apertura del Concilio Vaticano II. Rivolgendosi dalla finestra alla folla di una Piazza San Pietro gremita fino all’inverosimile, il vecchio Papa parlò della luna che si era affacciata a far festa anche lei e chiese di portare a casa una carezza ai bambini, la carezza del Papa! Erano le parole passate alla storia come il “discorso della luna”, che simbolicamente riassumeva l’immagine della Chiesa amica degli uomini, convintamente voluta da Papa Giovanni.
Dietro la finestra, quella sera come per tutto il breve e grande pontificato di Giovanni XXIII, c’era il fedelissimo segretario, il giovane sacerdote Loris Francesco Capovilla, che sarebbe divenuto il testimone e il custode delle memorie del “Papa buono”. Con la scelta di nominarlo cardinale – sorprendente per qualcuno, ma attesa da tanti, come dimostra l’oceano di reazioni entusiaste giunte da ogni parte del mondo – Papa Francesco ha voluto evidenziare il valore della testimonianza di quest’uomo libero e fedele, e al tempo stesso rendere un tributo di riconoscenza al Papa dell’indizione del Concilio e un attestato di convinta adesione a quella meravigliosa primavera, di cui respirare ancora a pieni polmoni, che è stato il Vaticano II.
La nomina di Capovilla assurge pertanto a un significato che ci riguarda tutti, credenti e non credenti, perché la Chiesa di Papa Giovanni e del Concilio, riproposta anche così da Papa Francesco, si offre come la casa di tutti, comunità che vive della misericordia divina e l’annuncia a ogni creatura umana, quale che siano la sua situazione o le sue convinzioni. Quest’abbraccio universale di fraternità fu un tratto caratteristico di Papa Giovanni, espressione della sua bontà, della sua gioia evangelica, della sua intelligenza cordiale, accogliente verso tutti. Era un’attitudine che scaturiva in lui, come nel suo fedelissimo Segretario, da un’esperienza profonda di abbandono in Dio e di tenerezza nei confronti di tutto ciò che è umano. Fu da questo confidente affidarsi che nacquero le grandi idee del Papa che volle il Concilio, prima fra tutte quella dell’“aggiornamento” della Chiesa, parola che grazie a lui entrò nel vocabolario del mondo.
Questo movimento sorgivo di amore, gioioso d’una generosità irradiante, è anche il tratto dell’essere e dell’agire di don Loris, quello che più s’imprime in chi lo conosce e ha il dono di frequentarlo. Il discepolo ha seguito e segue il Maestro Gesù, così come ha potuto conoscerlo e toccarlo dal vivo nella santità del Papa buono. Capovilla, che fu anche mio predecessore a Chieti dal 1967 al 1971, è stato voce sempre presente e aggiornata nella vita della Chiesa del post-Concilio, sapendo farsi interprete del messaggio di Giovanni XXIII nei suoi risvolti più intimi e nelle sue aperture più profonde, in grado di tradurne il significato per l’oggi in tutta la sua freschezza, nell’attualità sempre viva del Vangelo, di cui il Vaticano II è stato eco fedele.
Lo stare sempre e fedelmente alla presenza di Dio ha tenuto viva la capacità singolare di Capovilla di discernere con sguardo scevro da condizionamenti le vie dello Spirito nel presente degli uomini e nel fare scelte libere da ogni calcolo o interesse di parte. È quello di cui la Chiesa e l’umanità hanno sommo bisogno, come Papa Francesco non smette di ricordarci con la parola e l’eloquenza dei gesti. Solo l’umiltà e la libertà del cuore donano la capacità di vedere lontano per orientare il cammino nel modo più giusto. È per questo che niente come l’umiltà si addice a chi ha responsabilità nella storia. L’umile Giovanni ha cambiato il volto e il cuore della Chiesa con la primavera del Concilio da Lui voluto e inaugurato, perché non si è mai misurato sull’orizzonte di piccolo cabotaggio del proprio successo, ma unicamente su quello della causa di Dio e dei poveri. Il Segretario fedele ha seguito le orme del Papa buono, unendo anche lui alla bontà lo sguardo penetrante aperto al Regno che viene.
Come il Pontefice che – per obbedire allo Spirito – non ebbe paura di rischiare “di far brutta figura con la storia”, indicendo il Concilio quando era ormai in età avanzata, così Capovilla alla scuola di un tale Maestro ha imparato a “mettere sotto i piedi il suo io” e a restare aperto alle sorprese di Dio nella vitalità dei suoi anni ormai vicini al secolo. Rivive così in lui il messaggio del grande Giovanni XXIII: la bontà e l’umile intelligenza delle cose di Dio si fanno cammino di fedeltà al Padre celeste e d’incessante rinnovamento, vissuto in obbedienza ai segni dei tempi che lo stesso Dio vivo offre nella storia. In quest’uomo – costantemente proteso al futuro e desideroso del costante rinnovamento della Chiesa nel suo servizio agli uomini – c’è tutta la luce di un’aurora che sorge e di un futuro pieno di speranza. “Tantum aurora est”: siamo appena all’aurora, è l’espressione di Papa Giovanni che più ama ripetere. Egli ci testimonia così un modo di essere discepolo di Gesù e uno stile di Chiesa che Papa Francesco ama e che anche attraverso la nomina a cardinale del Segretario del Papa buono ha voluto indicare come via preziosa per tutti.
Fonte: Il Sole 24 Ore, pp. 1 e 14, domenica 16 febbraio 2014