«La nostra vita è un’opera d’arte. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo porci delle sfide difficili da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l’impossibile».
Come sono lontani dalla verità profonda del pensiero del sociologo Zygmunt Bauman gli artefici della discutibile, discussa e per molti versi incredibile decisione del Parlamento belga di consentire l’eutanasia ai minori, subordinandola al consenso di genitori e psicologi. «Massimo è il rispetto che si deve ai bambini», affermava Giovenale nel primo secolo d.C., un tempo troppo lontano per essere presente ad una società che spinge sempre più sul pedale del futuro, credendosi immortale e sempre dalla parte del giusto. Con quale esito? Con quello che è sotto gli occhi di tutti: in primo luogo, il rovesciamento dell’etica medica, che abbandonato il giuramento ippocratico della difesa della vita, affida al medico funzioni di avviamento alla morte. In secondo luogo, la cristallizzazione di inedite forme di ipocrisia, ultima quella di presentare come forma di ossequio alla volontà del paziente la sua decisione di non vivere più. S’aggiunge una vena di sottile perversione, insita nel demandare ai genitori il potere di staccare la spina al figlio malato: il diritto di vita e di morte dei padri sui figli viene esaltato come innovativa espressione di civiltà e di umanità.
Ma è lecito chiedersi: quale volontà prevarrà, ove i genitori siano di opinione diversa? Quanto accade ha, in realtà, solo una spiegazione: la bioetica pensata come etica della vita si è trasformata pian piano nell’etica del potere di chi, artificialmente e a suo piacimento, la vita vuol crearla in provetta, manipolarla, sopprimerla. Al contrario, essa dovrebbe essere trattata con uno sguardo multidisciplinare, evitando l’irrigidimento in regole precostituite, perché le ideologie non possono calpestare la dignità della persona, figurarsi poi per legge. Occorrerebbe maggiore attenzione alle istanze ed alle convinzioni della fede ed una più rispettosa considerazione dei sistemi di valore e degli interrogativi di natura metafisica. E sarebbe ugualmente necessario prestare orecchio agli imperativi della dignità, della dedizione e della compassione. «Il corpo di ciascuno di noi – ricordava a dicembre papa Francesco – è risonanza di eternità, quindi va sempre rispettato; e soprattutto va rispettata e amata la vita di quanti soffrono, perché sentano la vicinanza del Regno di Dio, di quella condizione di vita eterna verso la quale camminiamo». Parole che il vento della tecnica ha disperso nei labirinti della scienza, ma che restano radicate nei cuori e ancor più adesso spingono tutti, in primo luogo i cristiani, al dovere della testimonianza: la morte procurata non è mai una soluzione, ma solo la fonte di ulteriori drammi e inumanità. Nel mondo che cambia non ci sarà più futuro se da spettatori non si tornerà attori capaci di illuminare e riscaldare un vivere gelido, tenebroso e spietato. Agiamo prima che sia davvero troppo tardi.
(Il testo è stato pubblicato anche su “La Gazzetta del Sud” di domenica 16 febbraio)