Ha fatto rabbrividire molte persone la recente approvazione in Belgio dell’eutanasia per i bambini. Attenzione, però, a non perderci tra i rami senza vedere più il tronco, anzi le radici. Fa certamente impressione pensare a un bambino di 10-12 anni, malato grave, che chiede di venire ucciso (perché di questo si tratta) e a un medico che pone fine alla sua vita. Deve, però, fare meno impressione se a chiedere ed ottenere la morte è un adulto o un anziano?
L’eutanasia infantile solleva il problema della capacità di discernimento e di vera libertà da parte di un minore. Ma non è questo il vero problema. La questione di fondo è se sia giusto che una società permetta per legge che un cittadino causi volontariamente la morte ad un altro, quando questo lo chiede e/o quando soffre gravemente.
Ho detto “e/o” con piena consapevolezza. I fautori dell’eutanasia vogliono che si dica sempre “e”: eutanasia legale solo quando il paziente è gravemente malato, sofferente… e quando lo chiede volontariamente.Ma curiosamente, loro stessi approvano spesso l’eutanasia praticata ai neonati malati gravi, come si è visto nel dibattito sul cosiddetto “Protocollo di Groningen” (che nel 2005 stabiliva le modalità di questa pratica nell’ospedale universitario di quella città olandese). Alla faccia della richiesta volontaria del paziente! E sono loro stessi ad approvare ugualmente l’eutanasia quando il paziente la chiede — magari insistentemente —, anche se non si trova in fin di vita, né soffre terribili dolori. Alla faccia della situazione di sofferenza irresistibile!
È interessante il “disagio argomentativo” che si nota tra i difensori dell’eutanasia. Proclamano che ognuno ha il diritto di decidere autonomamente la propria morte, che siamo padroni della nostra vita… Rispondo deducendo che se è così bisognerebbe riconoscere il diritto all’eutanasia anche alle persone sane che la vogliono far finita, per qualunque motivo. Loro reagiscono, offesi: “Lei sta banalizzando il problema! Parliamo solo di casi di malattia grave e terribili sofferenze”. Dunque, concludo io, non è l’autodeterminazione che legittima l’eutanasia.
Proclamano poi che tutti abbiamo il diritto a non soffrire e che per compassione è giusto porre fine a una vita di dolore. Rispondi tu deducendo che se è così si potrebbe praticare l’eutanasia con tanti malati gravi e sofferenti, incapaci di acconsentire a quella pratica. Loro reagiscono, offesi: “Ma no, solo se il paziente lo vuole liberamente”. Dunque, non è la compassione che legittima l’eutanasia.
È un continuo viavai dall’autodeterminazione alla compassione, dalla compassione all’autodeterminazione… Come se mettendo insieme due argomenti non validi venisse fuori uno valido. Come se 0 + 0 facesse 1. Si comprende allora il passo appena fatto dal legislatore belga con l’introduzione dell’eutanasia infantile. Non è altro che uno scivolone in più in quel “pendio scivoloso” che molti autori denunciano nella pratica e nella logica dell’eutanasia. Si strappano le vesti i fautori dell’eutanasia quando si parla di quel pendio (quel famoso slippery slope). Ma non si tratta necessariamente di affermare che una volta legalizzata l’eutanasia si arriverà ai crimini dei nazisti, che la misero in pratica.
Si costata solamente che, in buona logica, una volta legalizzata l’eutanasia sulla base del principio che ognuno è padrone della propria vita, si potrà legalizzare anche in assenza di malattia grave e di grande dolore; e una volta legalizzata perché tutti hanno diritto a non soffrire, si potrà legalizzare anche in assenza di richiesta volontaria da parte del paziente. Anzi, si constata che, com’era prevedibile in buona logica, di fatto tutto ciò sta avvenendo.
La legge che depenalizzò l’eutanasia in Olanda nel 1993 stabiliva come condizione l’esistenza di un dolore fisico insopportabile. Un giudice sentenziò, però, che non era punibile lo psichiatra che fece morire una donna sana ma depressa: la sofferenza psichica può essere più grave di quella fisica. Logico. E, logicamente, la legge che legalizzò pienamente l’eutanasia in quel paese, nel 2001, include la motivazione della sofferenza psichica.
La legge del ’93 ammetteva l’eutanasia solo dietro domanda esplicita del paziente. Un altro giudice sentenziò che non erano punibili i genitori del piccolo fatto morire perché soffriva: in casi così gravi, la volontà dei genitori può supplire quella del paziente. Logico? Logicamente, il “Protocollo di Groningen” regola in modo molto pulito questa pratica.
La legge olandese del 2001 ammesse come candidati all’eutanasia i bambini dai 12 ai 16 anni con il permesso dei genitori; dai 16 ai 18 solo con l’obbligo di consultarli. La legge belga del 2002, non includeva i bambini. Ora, logicamente, la permette senza limiti di età. E via scivolando… In fondo è tutto logico. È inutile che adesso parliamo di “legge shock” perché il Belgio è sceso ancora un po’.
Non perdiamoci tra i rami. Andiamo alla radice: se la vita della persona umana non è più considerata un mistero insondabile; se non viene più protetta come un bene indisponibile; se si perde il senso della sua sacralità o semplicemente della sua dignità intrinseca; se vale più o meno in funzione delle sue condizioni…Ci sorprende che si legalizzi l’uccisione di un bambino malato che chiede la morte (chissà con quale capacità di libero arbitrio) in paesi nei quali è legale uccidere un bambino, anche non malato, che non può ancora chiedere niente, mentre si trova ancora nel grembo di sua madre?